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Ultima Generazione, l'attivista: io vandalo apprezzo molto le opere che danneggio

Andrea Tempestini
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Quello che ho capito è che lo fanno per «trovare il modo collettivo per salvarsi la pelle» e che questo «modo» non lo hanno trovato. Insomma, ho compreso che è enorme la confusione sotto al cielo di Ultima Generazione. E questa confusione è profondamente, intrinsecamente comica. L'opera si intitola L'Ecovandalo (edizioni Piemme), l'estensore è Simone Ficicchia (classe 2002) e Il Fatto Quotidiano ha proposto ampi stralci del suddetto diario dell'attivista “green".

Ficicchia, col lessico un po' ingenuo di un 22enne, racconta perché lo fa, perché imbratta statue e monumenti («Nicole e Giordano si predispongono ai due lati dell'entrata. Posano lo zaino a terra con misuratezza, senza fretta» e poi via, a lordare l'ingresso del Consiglio regionale toscano. Sul significato di quello zaino posato «con misuratezza», ammetto, continuo a interrogarmi). Per carità, il lessico è l'ultimo dei problemi, ché di fesserie ne scrivo tutt'oggi, figurarsi a 22 anni. Il punto è che manca la logica. E quello è un problema.

Partiamo dalla riflessione sulla parola «vandalismo». Etichetta che Ficicchia rigetta, per farlo cita la Treccani: «Tendenza a rovinare, distruggere, guastare senza necessità e senza ragione, per gusto perverso o per sciocca e malintesa ostentazione di forza, o anche per incapacità a comprendere la bellezza e l’utilità delle cose che si distruggono». Ma nella frase successiva, di suo pugno, aggiunge: «Per cui sembra che il vandalo non apprezzi il valore di ciò che danneggia». Insomma rifiuta di essere vandalo ma ammette il danno. Curioso. Poi – attenzione - chiarisce che le azioni di Ultima Generazione «vengono compiute su beni che il suddetto vandalo riconosce come beni superiori per bellezza o valore, a talpunto da dar seguito al bisogno di utilizzarli per far parlare». Dunque - il vandalo - sfregia qualcosa che ammette essere superiore a lui «per bellezza o valore» e di farlo per il suo fine: che sia il semplice “gusto” della devastazione o «lo stop ai sussidi pubblici alle fonti di energia fossile» poco cambia. In entrambi i casi manca il nesso logico: stai compiendo un’idiozia. Lordare la Scala di Milano come può fermare «i sussidi pubblici»? Ficicchia ti risponde che tutto ciò serve a «trovare il modo collettivo per salvarsi la pelle», appunto. Un grande boh.

 

Il contorcimento ecologista raggiunge burlesche vette di lirismo quando l'attivista spiega: «Noi cerchiamo di dare la massima visibilità al messaggio che vogliamo veicolare, creando il massimo disordine possibile. Ma si tratta di un disordine che mira a una razionalità maggiore rispetto a quella che abbiamo trovato nascendo in questo mondo». Lui - loro - sono migliori di questo mondo (interrogatevi, su cotanta prosopopea). Lui - loro - sono razionali: lo dimostrano in maniera plastica quando si appiccicano le mani sull'asfalto e scatenano i peggiori istinti di quei poveri cristi dei pendolari.

«Il portone, la facciata, le finestre protette dalle inferriate di ferro battuto e tutti gli altri elementi architettonici, resi grigi da annidi piogge acide e smog, finalmente si colorano», prosegue nella cronaca del blitz toscano (sentiti ringraziamenti per quel «colore», per gli schizzi di simil-maionese misto sangue sul Palazzo del Pegaso). «Chi guarderà cosa stiamo facendo dovrà ricordarselo. Chi studia marketing lo sa, e anche noi ci troviamo spesso a trarre spunti e insegnamenti proprio dagli ambiti più mostruosi di questa società, tentando di concentrare i nostri sforzi per cambiarla utilizzando le sue stesse armi». Il marketing come Satana. Ma il diavolo aiuta i suoi simili, o no? E allora questo «marketing» funziona sì oppure no? Un altro grande boh.

 

IL MANTRA
Simone Ficicchia mette nero su bianco il suo mantra: «Non fare mai ciò che la gente si aspetterebbe da un attivista». Questo, aggiunge, perché «uscire dal cliché di ciò che la maggioranza delle persone ritiene normale o semplicemente plausibile da parte di chi fa azioni pubbliche in ambito politico è un aspetto chiave per riuscire a veicolare un messaggio, bucando il rumore di fondo dell'usuale e la bolla di chi è già impegnata in quell'ambito». Doveroso il terzo grande boh sulla tortuosità delle bolle (rileggete: non ha senso, manca la logica). Ci permettiamo solo due ultime riflessioni. La «gente», da voi, da «un attivista», non si aspetta nulla: state semplicemente riempiendo un vostro vuoto, state affrontando un problema reale (l'ambiente) in modo macchiettistico, narcisista e del tutto autoriferito. Infine, chi si accredita il merito, o presunto tale, di «uscire da un cliché», solitamente e tragicomicamente, finisce col diventare il cliché stesso. Quale Ultima Generazione oggi è.

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