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Così le guerre riscrivono il mito di Antigone

Pietrangelo Buttafuoco
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Il morto insegna a piangere ma la legge è legge. E un traditore non ha diritto alla tomba. Ecco la storia di Antigone ma ecco anche la nostra giornata: i missili cancellano tre ragazzi. Proprio come con gli insetti fa lo scacciamosche. Dei disperati, atterriti, accorrono per recuperarne i resti ma ecco - da chissà dove, ancora con una botta al tasto della consolle di lancio, parte un altro razzo e anche quei soccorritori restano spiaccicati sul terreno. Insepolti. Sono infatti dei niente - inumani - indegni di avere una tomba.

Il morto non insegna più a piangere, il decreto che salda la città alla vita proibisce la sepoltura del nemico- ecco Antigone che chiede una tomba per il fratello Polinice, ecco qual è la storia - e quella cronaca antica tutta di carcasse sparse tra le mura si replica coi cadaveri, quelli di oggi, presenti in ogni notiziario. Senza rigenerazione alcuna - si dice catarsi - questa storia torna con la domanda di sempre: è giusto che Antigone seppellisca il fratello Polinice, reo di aver tramato contro la sua città come ella pretende, o ha ragione Creonte, depositario e custode della legge che vieta la sepoltura dei traditori della patria?

Eva Cantarella, grecista, già ordinaria di Diritto romano e Diritto greco antico alla Statale di Milano, si interroga in questo suo, Contro Antigone, o dell’egoismo sociale, edito da Einaudi Stile libero, rileggendo il Sofocle dell’omonima tragedia. Il dilemma che oppone Antigone a Creonte, re di Tebe, è quello celebrato da una moltitudine di poeti e pensatori, tra cui Hölderlin, Goethe, Hegel, ma anche Kierkegaard e Lacan. Tutti questi sommi ci riportano alla radicalità della questione, nell’interrogarsi tra le leggi non scritte dell’emozione carnale e isolata e la legge della polis- quella del sentimento duraturo della responsabilità - dove s’innerva il senso profondo della città che tutti siamo chiamati a custodire. Ma ancora di più. Antigone è il significato più segnante della civiltà e dell’universalità che essa pone: la questione umana. La lettura di Cantarella è originale perché si pone contro corrente. A distanza dalla data di composizione della tragedia, il 442 a.C., Antigone è via via - e sempre di più- divenuta il simbolo dell’eroina che lotta contro le ingiustizie, qualunque esse siano e a qualunque latitudine, giù fino ai giorni nostri.

Perfino nel luogo comune essa si ripropone se del canone antigoneo, giusto a esempio, se ne fa blasone Carola Rackete, indimenticabile “nemica” dell’allora ministro degli Interni Matteo Salvini quando, nel giugno del 2019, al comando della nave di soccorso Sea-Watch 3 viola il divieto creonteo di entrare nel porto di Lampedusa, facendovi sbarcare 42 immigrati.

 

STUDIO CONTROCORRENTE

Come già annunciato dal titolo programmatico del saggio lo studio di Cantarella va controcorrente. Se bisogna discernerne tra torti e ragioni, ebbene: la ragione- in questa drammatica vicenda - è di Creonte. La ferita sempre aperta della giustizia, da sempre e per sempre lacerante, s’impone nel merito della questione quando l’autrice ricorda che presso i greci - le cui città erano in perenne ostilità tra loro - dare sepoltura al nemico era pratica sconosciuta e spesso impossibile. Lo sfregio del cadavere nemico, infatti, conferiva un accresciuto valore all’uccisore. Basti ricordare l’accanimento di Achille sul cadavere di Ettore. La sua restituzione a Priamo, costituisce un unicum nel mondo greco a cui Achille, sicuramente commosso dallo strazio del vecchio padre di Ettore, si piega perché, come annunciatogli dalla madre Teti, questo è il volere insindacabile degli Dei.

Antigone appare all’autrice animata da un desiderio di morte che ostinatamente persegue contro tutti. Contro Ismene, innanzitutto, la dolce sorella a lei legatissima che prova a farla ragionare. Niente di buono può venire a opporsi alla legge, ma Ismene è così legata ad Antigone da esser pronta a condividere il suo atroce destino. Non vuole condividere il suo gesto - gettare terra sul cadavere del fratello - è un atto di coraggio che solo lei può osare compiere e quello di Antigone è un individualismo cieco, restio a qualunque mediazione, contro cui Creonte oppone la legittimità del suo potere, è il Re della città, da cui discende la validità della legge e il divieto conseguente di infrangerla, pena la morte.

Il cupio dissolvi che caratterizza Antigone è riferito da Cantarella alle vicende terribili che hanno ferito la vita di Antigone. È figlia di Edipo che, intrappolato in un cieco destino, ha ucciso quello che non sapeva essere il proprio padre e sposato poi quella che ignorava fosse la propria madre Giocasta, da cui ha avuto quattro figli, Polinice, il traditore, Eteocle, l’altro fratello nella sfida per il regno di Tebe che ha visto i due uccidersi l’uno per mano dell’altro e - infine - Ismene. Ha sopportato lo strazio del padre accecatosi dopo il disvelamento della terribile verità.

 

IL MORTO E IL PIANTO

Nulla di questa vita, neppure l’amore di Emone, suo fidanzato figlio di Creonte, da lei mai citato in tutta la vicenda, può renderla felice. Nulla la ferma verso la morte, svelto pretesto per sfidare il potere essendo pure una donna che, nell’ordinamento della polis, non può rivendicare alcun diritto. Hegel vide nell’Antigone di Sofocle l’opera d’arte più eccellente di sempre. Per il filosofo della Fenomenologia dello Spirito l’azione della protagonista rappresenta la rottura della “bella eticità greca”, modello di insuperabile perfezione ai suoi occhi. Ma Creonte ammonisce gli uomini, se la legge si infrange - se il morto insegna a piangere - la polis crolla. Con la polis erta nella sua solidità la domanda di sempre trova una risposta: è giusto che Creonte, depositario e custode della legge, vieti la sepoltura al morto. Quella storia è la nostra storia.

Osserviamo lo svolgersi della mattanza sugli schermi, leggiamo i giornali, ascoltiamo i notiziari, dei morti insepolti è ormai piena la scena quotidiana del mondo in guerra e con Antigone - il pianto svapora nell’abitudine a tanto orrore – ci ritroviamo nel vortice della tragedia: non è mai giusto ciò che è giusto. È il morto che insegna a piangere. Nella rigenerazione di tutti, quella che si chiama catarsi. 

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