La speranza è un bisogno, ma deve essere realistica
Ci vuole coraggio per parlare di speranza in questi tempi di crisi, anzi di “policrisi” per usare un neologismo. La parola “crisi” sembra troppo debole per descrivere un mondo sempre più imprevedibile e inquietante, e forse è anche un po’ troppo inflazionata. Viviamo in una società che cambia sempre più in fretta, dove i simbolici cavalieri dell’Apocalisse, dopo qualche decennio di relativa inattività, hanno ripreso la loro cavalcata più briosi che mai.
In questi giorni si parla molto di speranza: l’Occidente festeggia la Pasqua, la festa religiosa più importante della cristianità; l’ebraismo avrà la sua Pesach, istituita per ricordare la liberazione di Israele dalla schiavitù in Egitto; e gli adulti che seguono l’Islam concluderanno a breve il Ramadan, in cui digiunano dal mattino sino al tramonto del sole. L’arrivo della primavera fa la sua parte con la natura che si risveglia e i campi che si ammantano di un bel tappeto verde, il colore della speranza. La speranza umana, in un momento in cui l’orizzonte è pervaso da nubi piuttosto scure, trae origine dal desiderio di credere che non c’è mai situazione, per quanto tragica, che non possa ribaltarsi e che non c’è mai dolore che non possa essere lenito con fiducia sia per sé che per i propri figli.
Tutto ciò si traduce laicamente nel pensiero positivo di molti che si ostinano con ottimismo a vedere il lato buono delle cose sia nel mondo esterno che interiore. È difficile avviare un confronto costruttivo con chi si illude che tutto andrà a finir bene e che, con ottimismo smisurato, si rifiuta di vedere le difficoltà. Molti sembrano accontentarsi di mediocri discorsi retorici che ci dicono che l’uomo alla fine ce la farà. Il fatto è che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e dopo decenni di una pace che si credeva definitiva, ci siamo crogiolati nell’illusione che l’Europa non avrebbe più vissuto le tragedie del XX secolo, per poi svegliarci con una guerra alle nostre porte in Ucraina e nel vicino Medio Oriente e capire che nulla è acquisito una volta per sempre.
La speranza è un bisogno psicologico fondamentale, ma deve essere realistica e credibile agli occhi di colui che spera. Triste a dirsi, quanto più siamo sani e ricchi, tanto più cupa è la nostra visione del mondo. Possibile? Purtroppo il nostro cervello è influenzato dal bias della negatività.
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La raffica inarrestabile di cattive notizie a cui siamo sottoposti ci fa sentire impotenti e ci lascia in uno stato di timore e rabbia. Alcuni dicono che “non c’è limite ai miglioramenti che possiamo conseguire se continuiamo ad applicare la conoscenza all’incremento della prosperità umana” (Steven Pinker, Illuminismo adesso, Mondadori, 2018). Purtroppo la storia dell’umanità ci insegna che i tentativi di cooperazione internazionale sono spesso naufragati sugli scogli del nazionalismo e degli interessi di parte, e questo rende utopistica la speranza umana di affrontare e risolvere una volta per tutte le sfide globali che ci angosciano.
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