Milano, arrestato l'architetto del Comune: prestava la faccia al boss
È stempiato, con i capelli corti ma non rasati, ha il mento appuntito, gli occhi verdi e il naso pronunciato. A Limbiate, in provincia di Monza (e nella realtà), è Massimo Gentile, 51 anni, architetto (ma sospeso dall’ordine per questioni disciplinari); a Campobello di Mazara, invece, fino a un anno fa era un 62enne appassionato di auto e moto. Due identità per una sola persona: quella vera al Nord, quella finta che serviva come copertura a Matteo Messina Denaro in provincia di Trapani. Un solo documento per un giochetto semplice semplice, uno dei tanti- d’altronde, la somiglianza dei lineamenti tra i due visi poteva ingannare uno sguardo frettoloso e distratto -, che ha permesso al super boss di Cosa Nostra, arrestato il 16 gennaio 2023 a Palermo e morto in carcere a L’Aquila lo scorso 25 settembre, di garantirsi una latitanza di 30 anni.
TUTTI INCENSURATI
Il vero Massimo Gentile, imparentato con il marito (un killer ergastolano) della storica amante del capomafia e originario proprio di Campobello di Mazara, incensurato (dal 2019 lavorava per il Comune di Limbiate e dal 2021 gestiva i progetti finanziati con i fondi del Pnrr), è stato arrestato con l’accusa di associazione mafiosa insieme con altri due fiancheggiatori (il tecnico radiologo Cosimo Leone, sempre per associazione mafiosa, e Leonardo Gulotta per concorso esterno), anche loro insospettabili, dai carabinieri del Ros che, coordinati dalla Procura di Palermo, stanno ricostruendo i dettagli della lunga vita in clandestinità del boss. Il quale, oltre agli aiuti di amici e parenti, si serviva di specialisti, ognuno con un compito preciso, che messi insieme gli garantivano una vita da cittadino libero malgrado venti condanne all’ergastolo. Secondo la ricostruzione degli inquirenti Massimo Gentile, tra il 2007 e il 2017, avrebbe ceduto più volte la sua identità al capomafia ricercato, consentendogli di acquistare (nel 2014 a Palermo) una Fiat 500 e una moto Bmw, di stipulare l’assicurazione sui due mezzi, di compiere operazioni bancarie (come numero telefonico di riferimento per eventuali comunicazioni veniva dato quello di Leonardo Gulotta), «insomma - scrivono i magistrati - di vivere e muoversi nel suo territorio come un cittadino qualunque e con un apparentemente regolare documento di riconoscimento».
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A incastrare Gentile, che per il capomafia ha comprato una Bmw, anni dopo demolita dallo stesso architetto in un’officina, è stato un pizzino, nascosto in una sedia e trovato a casa di Rosaria, la sorella di Messina Denaro. Nel biglietto si legge il nome della stessa impresa di demolizione a cui si era rivolto il prestanome: secondo i pm il veicolo, usato dal padrino dal 2007 al 2015, è stato regolarmente revisionato e assicurato a nome di Gentile. I bolli di moto e auto, infine, nel 2016 sono stati pagati l’uno a 40 secondi dall’altro in una tabaccheria di Campobello di Mazara dove, 7 anni dopo, pochi giorni prima dell’arresto, il capomafia era andato a fare acquisti, come dimostra uno scontrino ritrovato dal Ros. Cosimo Leone invece, cognato dell’architetto prestanome, avrebbe avuto un ruolo chiave nelle prime fasi della malattia del boss. Dopo la diagnosi di cancro al colon, nel novembre del 2020, in tempi record (8 giorni) Messina Denaro venne sottoposto a una Tac nell’ospedale di Mazara del Vallo (in cui Leone lavorava), visitato e operato. Al tecnico radiologo viene contestato anche di aver fornito al boss assistenza nei giorni dopo il primo intervento, mentre era in ospedale (facendogli avere il cd della Tac da mostrare agli specialisti che lo avevano in cura), e una nuova sim telefonica attivata da Andrea Bonafede, il suo prestanome “ufficiale”.
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OMERTÀ IN OSPEDALE
«La complicità di Messina Denaro all’interno delle strutture ospedaliere non può certo limitarsi al Leone, e sarà possibile dimostrarla solo attraverso un lavoro paziente e certosino di verifica costante di dati probatori suscettibili di profonda contaminazione scrive il gip Alfredo Montalto nella misura cautelare- Il quadro di connivenze in favore del latitante, fuori e dentro le strutture sanitarie, sta assumendo dimensioni allarmanti e imporrà a quest’ufficio ulteriori approfondimenti che saranno svolti in un contesto che fino ad ora non ha mostrato alcuno spirito collaborativo».