Unabomber, Francesca Girardi fu una delle vittime: "È il mio incubo, va preso"
Francesca Girardi aveva solo nove anni quando le scoppiò in mano un evidenziatore sul greto del fiume Piave, in Veneto, nel Trevigiano. Quel giorno, 25 aprile 2003, era in gita con la sua famiglia, e mai avrebbe immaginato che le sarebbe cambiata la vita. Occhioni scuri, sorriso lucente, incarnato genuino, ha dei boccoli neri che le contornano il viso e soprattutto una tale forza addosso da sollevare l’oceano. Lei è una delle vittime di Unabomber, l’ancora sconosciuto criminale che terrorizzò il Nordest tra il 1994 e il 2007. Ha perso l’uso di un occhio e di una mano. Ora le indagini si sono riaperte. Francesca il prossimo 21 aprile compirà 30 anni. E ha deciso di raccontarsi a Libero.
Francesca, come stai?
«Abbastanza bene. Sono contenta che le indagini siano riprese, dopo anni di silenzio. Per carità, questi anni mi hanno fatto bene, sono riuscita ad andare avanti con la mia vita, mi sono trasferita. Ma dimenticare una storia così è impossibile, perché c’è ancora qualcuno là fuori che ha fatto quello che ha fatto. Se Unabomber è ancora vivo, può essere un pericolo per chiunque».
Pensi possa colpire ancora?
«Oddio, non lo so. Però non penso, lo avrebbe già fatto. Le opzioni sono tre: o è venuto a mancare, o è anziano e non ha più possibilità di creare ordigni così precisi, oppure ha placato le sue turbe psichiche».
In questi anni hai mai pensato che non si potesse più far niente per identificarlo?
«Sì, pensavo non ci fosse più niente da fare. Mi dicevo: se non sono riusciti a beccarlo quando ci sono stati gli attentati, figuriamoci ora. Poi c’è stato il podcast di Marco Maisano e il documentario della Rai con Valentina Magrin, e lì mi si è riaperta una speranza. Questa è la mia storia, mi sono detta ,e io ho diritto di raccontarla. Perché la mia voce ha un potere».
Come è cambiata la tua vita da quel giorno?
«Non so come sarebbe stata la mia vita senza Unabomber. Avevo 9 anni, ero veramente piccola. È stata diversa per molti mesi tra ricoveri e interventi, poi è tornata la vita di prima».
Quanti interventi hai fatto?
«Almeno una decina tra mano destra e occhio destro».
E ora vedi?
«No, la vista su quell’occhio l’ho persa completamente, non c’era niente da fare».
E la mano?
«La mano... Mi sono abituata. Ho imparato a scrivere con la sinistra. Ora sono autonoma quasi in tutto, vado in giro in bici, tengo pulita la casa».
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Provi rabbia verso questa persona?
«C’ho pensato a lungo, ho pensato perché fosse successo proprio a me. Rabbia no, io faccio fatica a odiare qualcuno che non so chi sia. Sono arrabbiata per quello che è successo, ecco, un po’ sì».
Le indagini...
«Io sono sicura sia stato fatto il possibile, mi fa arrabbiare che sia successo nel 2003 e per vent’anni non sia cambiato niente. Non sapere chi sia questa persona, magari è viva, mi segue sui social e io non lo so. Non ho questo privilegio. È frustrante. Però rabbia no, la rabbia è un sentimento velenoso».
Cosa gli diresti se lo incontrassi?
«Ho provato a immaginare questa situazione. Gli chiederei perché, perché proprio io, se per lui ero speciale in qualche modo, semi abbia scelta».
Ritieni ti abbia scelta?
«Sì, io ho il ricordo di questa persona. L’evidenziatore era stato posizionato lì per noi».
Quindi tu pensi di averlo visto?
«Sì».
E com’era fatto?
«Alto, per quanto fossi una bambina, ma era alto. Pochi capelli, brizzolati, occhiali da sole e con quelle lenti trasparenti che vedevo gli occhi...».
E...?
«Mi ricordo quegli occhi puntati addosso. E quella camicia floreale che aveva, e questo ghigno nel fissarmi».
Sapresti riconoscerlo?
«Sinceramente no, sono passati anni, non vorrei avere la responsabilità di identificare una persona che magari non è quella che penso sia».
E di Elvo Zornitta, l’ingenere indagato per anni, che cosa pensi?
«Faccio riferimento alle indagini. È un uomo particolare, se è innocente è un’altra delle vittime di Unabomber».
Credi davvero che quella che era considerata la prova regina sia stata manomessa, motivo per cui Zornitta è uscito dall’inchiesta?
«La storia del lamierino è strana. Non capisco il poliziotto che interesse avrebbe avuto a manomettere una prova».
Ma tu quel giorno eri lì con la famiglia. Cosa ricordi?
«Ma sì, era il 25 aprile, ero lì a fare una grigliata con mia mamma e mia sorella».
E l’evidenziatore dov’era?
«Stavamo giocando intorno a un pilastro, sotto un ponte. Io ero con un altro bambino. Ci siamo un attimo allontanati da quel punto e quando siamo tornati l’evidenziatore era lì. Per quello ti dico che lui l’ha messo a posta. Noi abbiamo fatto una gara per raccoglierlo e...».
E ti è esploso tra le mani?
«Sì...»
Tu ricordi tutto di quel giorno?
«Tutto, tutto, ho un ricordo bellissimo prima di...».
Ci sei più tornata lì?
«Sì, sì, è un luogo fantastico in realtà, in mezzo alla natura».
Ora come vivi questa riapertura delle indagini?
«Spero possa saltare fuori qualcosa. Riuscire a mettere un punto a questa storia sarebbe una grandissima soddisfazione, perché rimane sempre un capitolo lì, in sospeso».
L’hai perdonato?
«Non posso perdonare chi non mi ha chiesto scusa. Ho perdonato la vita per quello che mi è successo».