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Auguri al papà, figura forse fuori moda e sotto accusa eppure così necessaria

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Il 19 marzo di sei anni fa per la Festa del Papà mi sono regalato Giovanni, anzi a essere precisi me lo ha regalato la sua mamma. È il quarto figlio, il più piccolo, il più coccolato, per una famiglia allargatissima dove il ruolo chiaro è certamente il mio, quello del padre, che nella società contemporanea non va troppo di moda, quando non è additato di difetti e colpe, depositario di una mentalità retrograda e conservatrice. Mentre nella crescita dei figli la madre è necessaria, primo riferimento, figura sensibile e consolatrice, il padre finisce per relegarsi a procacciatore di alimenti, garanzia economica, destinato prima o dopo a incarnare la conflittualità necessaria che sarà fisiologica ma spesso difficile da sopportare anche per chi ha le spalle larghe.

 

Secondo James Hillman il padre è colui che tradisce il figlio che si fida, impartendogli così una lezione fondamentale per l’esistenza. Di certo non ne viene fuori mai bene, la narrativa italica pullula di genitori maschi controversi, talora violenti o inscalfibili. Se una donna adulta si porta dietro dei problemi la colpa va fatta ricadere sui padri, o rigidi o assenti. Nella società si filosofeggia sulla sua inutilità, davanti a certi esemplari basterebbero due madri portatrici di affetto vero, ormai emancipate, i ruoli della famiglia tradizionale vengono superati in favore di un nuovo soggetto ibrido dove i confini tra i ruoli sono imprecisati e sfuggenti.

 


 

VECCHIO STAMPO... Che sia bene o che sia male non spetta a me dirlo, ognuno decida da sé; certo è che un pater familias come il mio, che manca da diversi anni, espressione pura di chi si è sempre seduto a capotavola, mai troppo tenero con i figli seppur a suo modo generoso, autoritario, i cambiamenti sociali che fin dagli anni ’60 auspicavano un diverso ruolo per le donne lo lasciavano del tutto indifferente, nel presente risulterebbe improponibile.

 


Sarebbe ora un personaggio antistorico, residuo di un altro tempo. Il fatto è che tra quelli come lui e i padri moderni, fotocopie annacquate delle madri molto più brave, decise ad affrontare e risolvere i problemi dei loro ragazzi, mancano gli stadi intermedi. Ai suoi tempi i padri non andavano a parlare con i professori, era un compito delle madri, oggi invece imperversano sulle chat di classe e non si capisce dove trovino il tempo. Allora venivano chiamati in causa solo per le decisioni importanti, nel terzo millennio si occupano del quotidiano più banale in nome di un coinvolgimento a tutto tondo. Soprattutto con i figli maschi erano attesi ad alcune tappe fondamentali, la partita di calcio, la prima volta allo stadio, insegnare ad andare in bicicletta, regalarti il motorino mentre la mamma se ne usciva in mille raccomandazioni e timori. Nel 2024 li trovi ai corsi di danza, al confronto con la psicologa, a discutere della mensa scolastica, fare il conto delle intolleranze alimentari, auto colpevolizzandosi di non essere abbastanza politicamente corretti a causa di alcuni inevitabili difetti di fabbricazione paternalistica.

 


 

E NUOVI MODELLI A ragionarci su, forse i padri di oggi sono migliori del mio però quel modello, seppure in parte evoluto grazie ai libri, alla cultura, alla disponibilità economica che la sua generazione ha visto accrescere attraverso il lavoro, alle occasioni e agli incontri, mi è rimasto dentro e io non lo rinnego completamente. Il padre è figura diversa dalla madre, in parte complementare mai sovrapponibile. Accoglienza, complicità, protezione, persino qualche menzogna (quante ne ha dette mia madre per ripararci dall’autoritarismo ingiustificato di mio padre) sono caratteri materni, a noi si chiede piuttosto di mantenere una scorza più dura e al contempo affidabile, non di esercitare lo stesso tipo di sentimentalismo fuori ruolo. Semplicemente, un diverso modo di amare, né migliore né peggiore ma diverso ed è per questo che la forma migliore, per non dire perfetta, di famiglia è ancora quella in cui ci sono un padre e una madre, e tanto esprimono differenza tanto funzionano meglio, con buona pace dei modelli alternativi. La nostra formazione scolastica prevedeva che il 19 marzo si portasse al papà una bottiglia di liquore o di vino e il 5 maggio alla mamma un mazzo di fiori con un cuoricino rosso. Le cose cambiano, spesso in meglio, per fortuna ci sono ancora scuole materne come quella del mio Giovanni dove insegnano che mamma e papà sono due entità distinte. Giusto, sono un padre, non sarò mai una madre e mi tengo la mia festa, con il mio biglietto di auguri disegnato dal piccolo e alzo il mio calice di Nebbiolo in onore dei padri del mondo.

 

 

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