Vai a lezione di cinese? Attento alla propaganda
La capacità Cinese di entrare nelle dinamiche occidentali è straordinaria. Silenziosamente ma continuamente la Cina è sempre più presente non solo nell’industria Italiana ma anche nelle università e nei centri di controllo sociale e culturale. Ecco dieci risposte che possono far comprendere la capacità di penetrazione cinese.
1) C’è un allarme in Italia sulle ingerenze cinesi?
Nella Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza presentata il 28 febbraio per la prima volta viene dedicato alla Cina molto spazio: il doppio, rospetto all’anno prima. Sul fronte economico-finanziario, Pechino ha perseverato nella sua strategia finalizzata all’acquisizione di know-how e all’ottenimento di un vantaggio competitivo basato sull’innovazione attraverso diversi strumenti, dallo spionaggio all’attuazione di joint venture, dai contatti commerciali attraverso la cooperazione scientifica promossa dalle imprese cinesi agli accordi bilaterali a livello accademico. In sede di presentazione il direttore dell’Aisi Mario Parente ha ribadito che le operazioni di spionaggio per acquisire informazioni e anche tecnologia portano la Cina «a rivolgersi anche ai circuiti universitari».
2) Qual è il principale strumento di presenza della Cina nel mondo accademico italiano?
Il 6 marzo al Senato è stato tenuto il convegno “Italia, Europa, Cina: influenze accademiche e squilibri sociali”. La prima sessione era appunto dedicata alla influenza cinese nel mondo accademico.
Nell’introdurla il senatore Giulio Terzi di Santagata, ex-ministro degli Esteri e presidente della Quarta Commissione Politiche della Ue, ha ricordato il ruolo degli Istituti Confucio, “braccio operativo del soft power cinese”. «Una questione sulla quale in quasi tutti i Paesi occidentali ci si interroga da un decennio perché non sono semplici e centri culturali equivalenti del Goethe Institut, del British Council e degli Istituti di Cultura Giapponese. Certo che propongono la lingua, la cultura e la storia cinese, ma dal 2003, anno in cui hanno cominciato a diffondersi in Europa questi istituti sono di fatto la longa manus di sistemi di propaganda e anche di censura. Raccontano infatti ai nostri giovani sul Tibet, su Taiwan, su Hong Kong, sullo Xinjiang, sulla Tienanmen non la storia vera, ma una storia falsata da ideologie e da propaganda».
3) Quanti sono gli Istituti Confucio in Italia?
Ci sono Istituti Confucio in 12 università italiane, e un tredicesimo sta a San Marino. Ci sono inoltre 43 Aule Confucio, per un totale nel 2002 di 230.000 studenti e un numero di partecipanti agli eventi culturali organizzati superiore a 1.33 milioni di utenti. Ma 48 università italiane su 82 offrono l’insegnamento del cinese. La sua introduzione all’interno della Scuola secondaria ha agevolato l’espansione della rete italiana dei Confucio, e viceversa.
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4) Quali sono gli accordi in corso tra la Cina e istituzioni di ricerca italiane?
Nel decennio 2013-22 le co-pubblicazioni sono aumentate del 258% e sono stati firmati 716 accordi di collaborazione tra università italiane e cinesi. L’Italia ospita nelle sue università oltre 23.000 studenti cinesi. Al Convegno del 6 marzo il primo intervento è stato di Giulia Pompili, giornalista esperta di Asia. Secondo lei, malgrado ormai in tutto l’Occidente sia stato lanciato l’allarme, «in Italia sembra quasi che non sia considerato un problema politico rilevante. Al Cnr c’è sempre l’idea resta che quella la diplomazia scientifica resti un fattore determinante». «Quindi vengono tutto sommato giustificati gli accordi soprattutto scientifici, che tra 2018 e 2019 l’Italia con la Cina intensifica in maniera esponenziale». «Si passa da accordi di collaborazione con tutti le più grandi università, ma anche quelle più piccole devo dire, e i nostri centri di eccellenza, parlo del Politecnico di Milano o del Politecnico di Torino, con una semplicità incredibile. Lo stesso Cnr firma accordi, anche nell’ultimo quadriennio, per studi congiunti su materie sensibili».
5) La presenza cinese è solo a livello di università?
Come ha ricordato sempre Giulia Pompili nel suo intervento, anche al Convitto nazionale Vittorio Emmanuele II di Roma, il liceo dell’élite capitolina, c’è un liceo scientifico in lingua cinese dove i ragazzi studiano storia e geografia in lingua cinese, con insegnanti dell’Istituto Confucio.
6) Cos’era il Memorandum of Understanding firmato il 22 marzo 2019 con Xi Jinping dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal ministro dello Sviluppo Economico Luigi di Maio?
Non era formalmente un trattato, ma un documento impegnativo tra lo Stato italiano e quello cinese valido per cinque anni. La dichiarazione congiunta riconosceva il principio di “una sola Cina”, senza più interpretarlo come “una Cina, due sistemi” a detrimento della posizione di Taiwan; e si impegnava anche a sostenere “le questioni di interesse prioritario” per i due Paesi, anche al di là del sistema di alleanze di cui l’Italia fa parte. La Cina si impegnava a ristrutturare le infrastrutture del porto di Trieste attraverso la CCCC: società formalmente privata, ma con capitali di Stato. Il 3 dicembre 2023 questo Memorandum è stato disdetto dal governo Meloni.
7) Ci sono stati altri accordi tra Italia e Cina poi annullati?
Un accordo tra le agenzie spaziali cinese e italiana fu concluso nel 2017 dopo la visita in Cina di Mattarella, ma dovette essere annullato nel 2019 perché comportava il rischio di mettere in mano a Pechino tecnologie Nato.
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8) Quali sono gli investimenti cinesi in Italia?
Nel 2014 a State Grid Corporation of China, azienda pubblica che è la più grande società elettrica del mondo, è stato consentito di acquistare il 40,9% del capitale di CDP Reti S.p.A.: la finanziaria delle nostre reti energetiche e elettriche - Snam, Terna e Italgas.
Una società proprietà del Partito Comunista Cinese ha così il diritto di nominare due dei cinque membri del Cda di Terna e uno sui tre del Cda di Snam. In entrambi i casi, con possibilità di dare i proprio gradimento all’Ad. Pubblica è anche China National Chemical Corporation, che ha acquisito il 45% delle azioni di Pirelli, con diritto di esprimere il presidente. E Pubblica è Shanghai Electric Corporation, che al gennaio 2021 possedeva il 12% di Ansaldo Energia. Secondo la Banca d’Italia, i flussi di investimento diretti esteri provenienti dalla Cina sono passati da 573 milioni di euro nel 2015 a 4,9 miliardi di euro nel 2018. A fine 2019 erano direttamente presenti in Italia 405 gruppi cinesi, di cui 270 della Repubblica Popolare Cinese e 135 con sede principale a Hong Kong, attraverso almeno un’impresa partecipata. Le imprese italiane così partecipate erano 760, con 43.700 dipendenti e un giro d’affari di 25,2 miliardi di euro.
9) Ci sono solo imprese pubbliche cinesi in Italia?
No. È privata ad esempio CK Hutchison Holdings Limited che possiede Wind Tre S.p.A. (30% del traffico telefonico in Italia) come joint venture. E Haier Group Corporation, che controlla dal 2016 la Candy, storico marchio di elettrodomestici di Monza. E la Weichai Power Company Limited, che dal 2012 detiene la maggioranza azionaria del Gruppo Ferretti, multinazionale italiana della cantieristica navale. Ma in Cina il confine tra privati e partito non è mai troppo sicuro. Pubblica è comunque People’s Bank of China: banca centrale della Repubblica Popolare Cinese che controlla quote di Eni, Tim, Enel e Prysmian. E altre società cinesi hanno quote di minoranza in Intesa SanPaolo, Prysmian, Saipem, Moncler, Salvatore Ferragamo, Prima Industrie.
10) Qual è il peso della Cina nel settore portuale italiano?
Il memorandum d’intesa con Pechino avrebbero permesso alla Cina di acquisire un ruolo chiave in porti come Genova, Trieste, Taranto e Gioia Tauro. Proprio la preoccupazione tra gli alleati nata da quella notizia provocò però la reazione in base a cui questa invadenza ha iniziato a essere messa in discussione.
C’è però il porto di Vado Ligure: il più importante scalo europeo per lo sbarco della frutta e uno dei maggiori a livello nazionale per il traghettamento marittimo verso Corsica, Sardegna e Nordafrica, oltre che una delle porte d’accesso meridionale d’Europa alle merci trasportate via mare in contenitori. Il 12 dicembre 2019 è stata inauguratala piattaforma contenitori denominata Vado Gateway come terminali marittimo della "Nuova via della seta" per il collegamento fra i mercati di Nord Italia, Svizzera, Germania e Francia nord-orientale con il resto del mondo. La Vado Gateway SpA è partecipata al 40% da Cosco Shipping Ports, con sede a Hong Kong, e al 9,9% da Qingdao Port International, cinese.
Articolo tratto dal sito Tgn - The Global News