La vita (segreta) dei sacrestani: scatti salariali, ferie e buoni pasto
C’è Ilda che a 78 anni, e dopo la morte di suo figlio avvenuta nel 2000, fa «di tutto per tenere viva la parrocchia di San Biagio». E c’è Piera, 83 primavere sulle spalle, che le dà una mano «finché riuscirò ad avere la patente, perché credo nei valori della Chiesa cattolica, valori che ti insegnano a comportarti bene verso gli altri». Poi ci sono Gabriella e Adele, la prima di anni ne ha 70 e la seconda 77: Gabriella di occupa del santuario della Celletta («il don mi ha detto: “Conto sudi te”. E da cosa nasce cosa...»); Adele della chiesetta di San Giacomo («Sono cresciuta qui dove mi hanno insegnato tutto e ora cerco di metterlo in pratica»). E ancora Diana, Marzia, Neria.
Sono le “sagrestane” di Argenta, piccola cittadina, neanche 22mila anime, in provincia di Ferrara, in Emilia Romagna. Sono le “pie donne” del paese: «presenze selezione che, se non ci fossero, molte chiese sarebbero chiuse e noi guarderemmo i soffitti» (dice don Sante Bertarelli, il “cappellano” che che aiuta don Fulvio, il parroco di Argenta, nella diocesi di Ravenna). Sono signore, madri, nonne, tutte volontarie, che di “lavoro” fan proprio questo: ogni giorno, domenica compresa, anzi specialmente la domenica, aprono, spazzano, custodiscono e poi richiudono che chiesette e le cappelle dove un prete stabile non c’è più.
Colpa delle vocazioni sempre più in calo, colpa dei fedeli che pure, colpa un po’ dei tempi che van così: da una parte la provincia si spopola, dall’altra i luoghi di culto lo stesso. Però Ilda e Piera e le altre le trovi sempre lì: per i passanti, per i semplici visitatori, per chi vuol recitare un pater ave gloria.
PIÙ AL NORD
Non si tratta di “sagrestane” vere e proprie, la loro è più una passione che una missione, ma cambia di poco. I sagrestani, invece, quelli contrattualizzati, quelli con un posto fisso, in Italia sono circa 2.400. Ce ne dovrebbe essere uno in ogni chiesa, in realtà se ne contano di più al Nord che al Sud, la Regione che vanta il numero maggiore è il Trentino e attenzione: almeno fino a qualche anno fa, cioè intorno al 2017, quasi uno su tre (il 30%) era donna.
Fanno un po’ di tutto, i sagrestani barra le sagrestane. Stirano le vesti della messa, si occupano degli arredi delle navate, accolgono i fedeli al mattino presto, gestiscono le pulizie. E hanno anche un sindacato di categoria (perché il loro, al netto di chi svolge queste mansioni a titolo di semplice volontario, è un lavoro regolato da un contratto collettivo nazionale, l’ultimo dei quali è stato aggiornato l’11 maggio dell’anno scorso) che è la Fiudacs, al secolo la Federazione italiana tra le unione diocesane degli addetti al culto e sacristi.
Professione sagrestano, insomma. Con tanto di tabelle e inquadramenti (di primo, secondo e terzo livello: il primo per i lavoratori dipendenti specializzati, il secondo per quelli che stanno completando un percorso formativo, il terzo per i neoassunti senza esperienza). Sacrista si diventa con un’assunzione effettuata dal legale rappresentante dell’ente ecclesiastico (e qui le norme da rispettare sono sia quelle civili sia quelle canoniche).
Ci può essere un periodo di prova (che non deve durare più di tre mesi) e la retribuzione, a oggi, si assesta a 1.320 euro mensili per il primo livello (che saliranno a 1.350 dal gennaio del 2025), a 1.280 per il secondo (su di trenta euro l’anno prossimo) e a 1.120 per il terzo (con un balzo a 1.150 tra dodici mesi). Hanno diritto ai buoni pasto di cinque euro al dì, ma non se svolgono mansioni part-time o comunque con un orario inferiore alle 24 ore settimanali, e possono contare sulla tredicesima.
Ancora: scatti di anzianità, possibilità di avere un alloggio in convenzione, gratifica pasquale e, ovviamente, straordinario pagato (addirittura del 50% per i giorni festivi e nelle ore notturne). Certo, i sagrestani, come tutti, possono andare in vacanza (hanno 26 giorni a disposizione), ma le loro ferie non dovrebbero («fatte salve le condizioni di miglior favore e le intese individuali e locali», dice il contratto) coincidere con le domeniche.
IL CASO DI CORTINA
Non che la posizione di sacrista non sia ambita, tra l’altro. Quando, a dicembre dell’anno buio 2020, a Cortina d’Ampezzo, in Veneto, don Ivano è stato costretto a pubblicare un annuncio (Aaa-sagrestano-cercansi), dopo che nella sua parrocchia s’era liberato un posto, di candidature gliene sono arrivate duecento, da ogni parte d’Italia, anche da persone laureate che avevano bisogno di lavorare e nonostante lui, il prelato, una volta ricevuta la 95esima risposta aveva chiesto pubblicamente di non mandargliene più. Per dire.