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Giulia Tramontano, la reazione di Impagnatiello davanti alle foto del cadavere

Claudia Osmetti
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L’aula gremita al Palazzo di Giustizia di Milano. C’è anche lui, questa volta: Alessandro Impagnatiello, il barman 31enne di Senago che ha ucciso, che ha confessato d’aver ucciso, Giulia Tramontano. Con 37 coltellate, mentre era incinta, aspettava il loro bimbo che non è nato mai, Giulia, in quel maledetto maggio del 2023. È passato quasi un anno e la stanza della corte d’assise di Milano è affollata: i giornalisti, qualche curioso, tanti ragazzi, alcuni parenti di Giulia ma non i genitori e nemmeno i fratelli (è un’udienza delicata, verranno mostrate le foto del cadavere, è meglio risparmiare loro l’ennesimo scempio: dirà dopo, nel primo pomeriggio, l’avvocato dei Tramontano). Ma per intanto c’è lui, l’imputato. Impagnatiello.

Ha la barba curata, i capelli corti. Tiene la testa bassa, guarda per terra, quasi mai di fronte a sé, lì nella gabbia per i detenuti. I carabinieri proiettano slide che riproducono i messaggi, le chat che si scambiava con Giulia, i documenti con cui ha acquistato il cloroformio, il falso test del dna. Lui non alza mai lo sguardo. Poi, è improvviso. È un pugno diretto sullo stomaco. Ma è anche quello che succede nei processi, quando si cerca di stabilire con la perizia più accurata possibile la verità dei fatti. Cala il silenzio in tutta l’aula nell’esatto istante viene mostrata una fotografia del corpo dilaniato di Giulia. Non si sente volare una mosca. Impagnatiello, ancora con gli occhi al pavimento, inizia a singhiozzare. Un po’ come aveva fatto già a metà gennaio, il fazzoletto per asciugarsi le lacrime e la bocca chiusa.

 


I dettagli delle indagini si fanno via via più serrati e lui rimane così, fermo, in silenzio. Gli inquirenti hanno scoperto che le ricerche “preparatorie” al delitto risalgono addirittura a cinque mesi prima di quello scempio, di quel massacro sul corpo di Giulia. Sul telefonino Impagnatiello avrebbe cercato informazioni in almeno tre occasioni: «veleno per topo incinta» (una), «veleno per gravidanza» (due), «veleno per uomo» (tre). Fino al 7 gennaio quando si sarebbe fatto più audace, quando avrete digitato, in modo ancora più chiaro, più esplicito: «Quanto veleno per topo è necessario per uccidere una persona». Non solo. Nella cronologia dei suoi dispositivi ci sarebbe anche una ricerca per «rimuovere macchie di sangue» datata 31 maggio alle ore 11.06. Il particolare non è casuale perché a quell’ora Impagnatiello non era a casa sua o per i fatti suoi, no: era negli uffici del Nucleo investigativo dei carabinieri di Milano, gli agenti stavano analizzando col luminò la sua Volkswagen T-Roc (e di lì a poco avrebbero trovato tracce ematiche di Giulia sulla portiera).

 


L’udienza di ieri mette in fila tutti questi aspetti. Uno dietro l’altro, grazie al pm Alessia Menegazzo e al procuratore aggiunto Letizia Mannella, grazie al racconto degli inquirenti, a quel supporto visivo che sì, è uno shock, però è anche un passaggio obbligato. «Amore mio, oggi si parla dite, di come siete stati strappati alla vita, di come con tutte le tue forze hai cercato la verità a costo della vostra splendida vita. Lotteremo per te fino all’ultimo», mamma Loredana, la madre di Giulia, si sfoga con un messaggio pubblico.  È determinata, lo è tutta la famiglia, a ottenere giustizia e ad andare avanti. Perché quel 28 maggio scorso è una ferita ancora aperta: con Impagnatiello che bussa alla caserma dell’Arma di Senago, «era agitato, sembrava molto preoccupato», per quella che in un primo momento sembra la denuncia di un allontanamento volontario e invece sarà uno dei delitti più feroci che hanno scosso di recente l’Italia. 

 

 

«Andiamo a casa con la sua auto, le nostre erano impegnate», spiegano gli agenti, «sento un forte odore di benzina che proveniva dal bagagliaio e lui si giustifica dicendo che ne ha una botoli» per le emergenze, «ma c’è lo stesso odore di benzina anche nel bagno dell’abitazione, dove la latrice aveva appena finito il lavaggio, così come nel suo zaino in cuoio in cui abbiamo trovato un paio di guanti in lattice» e due bustine di veleno «per uccidere i topi presenti nella piazzetta non distante dal lavoro». Nelle prossime udienze verranno chiamati a testimoniare i genitori e la sorella di Giulia.

 

 

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