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Severi-Correnti, 67 aule devastate a Milano: chi paga per questo scempio?

Simona Bertuzzi
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In 72 ore di occupazione selvaggia sono state vandalizzate 67 aule scolastiche, praticamente una ogni sessanta minuti, e accumulati danni per decine di migliaia di euro: rotti i computer, spaccati gli arredi faticosamente acquistati con i fondi del Pnrr, tranciati i cavi della luce, imbrattati i muri e i pavimenti eleganti delle nobili aule, svuotati e manomessi ben 13 estintori. È quasi un’orda barbara (già l’avevamo intuito dai primi resoconti fotografici ma adesso c’è un bilancio sommario dei danni) quella che il 30 gennaio scorso è calata sul Severi Correnti, il liceo bene della Milano illuminata ed impegnata che voleva organizzare - primo tra tutti nel calendario scolastico - una tre giorni di dibattiti su Palestina, antifascismi e centri di permanenza, invece è stato teatro delle scorribande dei teppistelli della peggior specie.

«Infiltrati» si sono affrettati a scrivere i ragazzi del collettivo del Severi in un indecoroso tentativo di levarsi di dosso ogni responsabilità appena si sono accorti che il dado era tratto e che della loro bella scuola restavano solo pavimenti sozzi, rottami e monnezza. Ma i vandali avevano i volti coperti dai passamontagna e le poche telecamere sopravvissute allo scempio non hanno inquadrato nemmeno uno dei responsabili. Il ministero ha inviato una missiva alla scuola in cui si parla di una ripresa delle attività a data da destinarsi. L’indiscrezione di queste ore è che i ragazzi non torneranno nelle loro belle aule fino a dopo Carnevale, il che significa scavare una voragine nella didattica cui difficilmente porrà rimedio, soprattutto per i maturandi, qualche giorno di recupero a giugno.

La preside del liceo, Gabriella Maria Conte, non riesce a credere che la propria scuola sia stata ridotta a brandelli e che la situazione sia sfuggita a tal punto di mano. Mentre i bravi professori fanno i conti con un senso di sconcerto e sgomento che accomuna noi tutti. Sono stati i docenti, d’altronde, i primi ad avvertire gli alunni in una lunga ed accorata lettera dei rischi di un’occupazione – preferita alla cogestione dagli stessi collettivi – non ben organizzata e sorvegliata. E i primi a mettersi, con le loro seggiole di legno e banchetti improvvisati, sui marciapiedi di fronte alla scuola per fare lezione agli studenti in difficoltà e colmare le lacune, qualsiasi cosa per non venir meno alla missione e al senso del dovere. Vedere adesso compromessa la didattica è per loro una sconfitta altrettanto dura da digerire.

 


Ma chi paga per la tre giorni di vandalismi? È questa la domanda che serpeggia nei corridoi. Ed è l’unica domanda che si impone a tutti noi adesso che oltre ai danni materiali conosciamo l’impatto sull’anno scolastico. Impensabile che sia la collettività. Auspicabile, anzi doveroso – come proposto da Libero nei giorni scorsi - che siano le famiglie dei ragazzi. Le stesse che sabato di buon mattino si sono presentate in istituto accompagnate dai figli, e portando stracci e ramazza per lavare la terribile offesa e tentare di mettere insieme i cocci. Occhi bassi, volti scuri. Tante scuse per la situazione sfuggita di mano. Bene, bravi, la miglior risposta ha detto la preside. Ma francamente non basta.

 

Sapete quanti ragazzi del collettivo del Severi - vero regista dell’occupazione e responsabile della sorveglianza e del rispetto degli spazierano nel gruppetto dei volontari pentiti e bramosi di rimediare al danno? Uno solo. Anzi una sola, una ragazza e per fortuna l’ha fatto. «Ci abbiamo lavorato per tre mesi a questa occupazione», ha detto ai giornalisti senza nascondere l’imbarazzo ma tentando uno straccio di giustificazione «eravamo convinti di essere in grado e invece i confronti continuavano a saltare... ammettevano solo quelli che volevano loro. Ne abbiamo conclusi tre sulla Palestina, tanti altri sono saltati, tornando indietro non occuperei. Non mi fa dormire la notte». Poi di nuovo il tentativo di scrollarsi di dosso le responsabilità. «A fare i vandalismi sono stati esterni, sia adulti che ragazzi come noi. Uno lo abbiamo fermato, altri hanno agito mentre eravamo in altre sale e non ce ne siamo accorti».

 

Non se ne sono accorti capito? Una scuola veniva distrutta da esterni introdottosi furtivamente nell’isituto e loro erano troppo impegnati a tirar fuori i fantasmi dei nuovi fascismi o forse banalmente a postare, chattare e prendere le distanze dalla realtà, per sentire il rumore dei cocci. Ecco, non vorremmo che la distrazione di massa fosse la scusa eterna dei nostri figli, e la via di uscita di questa brutta storia che offende il nome di un istituto eccellente. E mette tutti, per primi noi che siamo genitori, di fronte a un fallimento educativo colossale. Paghino i danni le famiglie dei ragazzi, c’è una circolare del ministro Valditara di questi giorni che è molto chiara a riguardo (e detta la linea alle scuole). E poi provino a capire dove hanno sbagliato.

 

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