Sindrome Rosah, primo caso in Italia: il dramma di un 25enne, le sue condizioni
Ha un nome il nemico invisibile, e fino a poco tempo fa sconosciuto, che costringe un giovane di 25 anni di Avellino a vivere nel dolore. Si chiama sindrome Rosah ed è una malattia genetica che in Italia, prima di lui, non era stata mai diagnosticata a nessuno (nel mondo ne sono affette una ventina di persone). Se ne sono accorti a Boston dove la malattia è stata identificata quattro anni fa: prima di allora e dopo aver girato il mondo per anni, nessun centro d'eccellenza era riuscito a diagnosticare la malattia del ragazzo campano.
Al giovane viene la febbre con cadenza settimanale, ha dolori articolari, stanchezza cronica, e lesioni all'occhio con danni alla retina. All'età di 15 anni aveva iniziato ad avere danni alla retina, con una leggera perdita della vista, tenuta a bada attraverso la somministrazione di cortisone. A Boston, invece, i ricercatori hanno effettuato una completa sequenza del genoma umano del ragazzo campano che ha evidenziato un'alterazione che determina una mutazione cromosomica che provoca, tra l'altro, un'infiammazione cronica che si traduce in febbre ricorrente, affaticamento, artrite, incapacità di sudare, esofagite, ipoplasia dello smalto dentale e lesioni di organi importanti come l'occhio, fino alla distrofia retinica con perdita totale della vista. Così, dopo aver rintracciato un altro paziente americano con la stessa malattia e le medesime caratteristiche cliniche, anche la patologia di cui soffriva il ragazzo di Avellino ha avuto finalmente un nome: sindrome di Rosah.
Sui campi da padel per la ricerca sulle malattie genetiche
Ed è nella capitale statunitense che il 25enne, sei mesi fa, ha iniziato la sua terapia, che consiste nell'assunzione di un farmaco capace di contrastare l'interleuchina 1, una proteina infiammatoria che provoca danni a vari organi, e quindi in grado di interrompere la febbre e le altre manifestazione. Il farmaco però non ha agito sulla distrofia retinica che gli sta causando una graduale perdita della vista. Difatti, tutte le persone colpite da questa patologia hanno perso la vista all'età di trent'anni, a esclusione di due casi che sono stati trattati con il tocilizumab, farmaco anche utilizzato nei pazienti adulti per combattere il covid, e che sembra abbiano risposto bene. Per la terza volta al mondo, è stato somministrato questo farmaco anche al ragazzo irpino, che attualmente è in cura al reparto di Immunoreumatologia dell'azienda ospedaliero-universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno, diretto dal professore Massimo Triggiani. E' stato il National Institutes of Health di Washington, con la professoressa Cristina Kozycki, a contattare Paolo Moscato, medico reumatologo del Ruggi, per affidargli il paziente.
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