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Fnsi contro la "legge bavaglio"? Clamoroso autogol: si imbavaglia da sola

Brunella Bolloli
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Nella stagione degli scioperi convocati contro il governo “delle destre” anche prima di conoscere i provvedimenti finali per i quali si decide la protesta, non poteva mancare un’azione da parte della stampa barricadera, quella che spesso va in piazza magari inascoltata, ma poi non si presenta nei posti dove di sicuro avrebbe un uditorio di livello. La Fnsi, Federazione nazionale della stampa italiana, il sindacato dei giornalisti, ha deciso ieri di disertare la conferenza del presidente del Consiglio in polemica contro la cosiddetta “legge bavaglio”, il ddl che vieta di pubblicare le intercettazioni e ordinanze cautelari a tutela stessa degli indagati. La mossa sarebbe anche passata inosservata se l’assenza dei cronisti sindacalizzati non fosse stata rimarcata in apertura dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli, il quale ha parlato di «banchi vuoti» e di «protesta condivisa». «Ci allarma», ha detto Bartoli, «l’approvazione di un emendamento che rischia di far calare il sipario sull’informazione in materia giudiziaria».

Ora, noi comprendiamo tutto, malumore dei colleghi incluso, e di sicuro siamo dalla parte delle notizie che vanno date sempre se tali sono e se non servono invece a solleticare istinti manettari e perversi. Ma uno “sciopero” dei giornalisti nel giorno della conferenza stampa clou per i giornalisti è un boomerang che la categoria si poteva evitare. Un inutile scivolone che strumentalizza il lavoro di tanti e li accosta a militanti di sinistra in lotta contro un esecutivo di destra. A che scopo? Più che la mobilitazione contro la legge bavaglio, qui siamo in presenza di cronisti che si sono auto-imbavagliati, un capolavoro degno del miglior Tafazzi che, francamente, non aiuta la causa. Tanto più che il contestato emendamento è firmato da Enrico Costa, deputato e responsabile Giustizia di Azione, non da esponenti di Fratelli d’Italia dei quali la Meloni potrebbe rispondere.

 

 

 

È facile per la premier, infatti, smontare la polemica d’esordio conferenza con due battute due. «Non è una iniziativa del governo», ha risposto, «arriva da un esponente dell’opposizione sul quale c’è stato il parere favorevole del governo. Ma non è un’iniziativa del governo. Lo ribadisco per dire anche alla Fnsi che la manifestazione sotto Palazzo Chigi per una iniziativa che non è del governo? Probabilmente avrebbe dovuto tenersi davanti al Parlamento». Meloni ha precisato che l’emendamento si aggancia alla normativa europea sulla presunzione di innocenza. «Riporta la norma al suo perimetro originario, quello in forza del quale è vietata la pubblicazione anche parziale degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse».

Al sindacato tutto questo non interessa. Incurante del numero straordinario di colleghi e colleghe di quotidiani, radio, tv, che hanno preso parte alla conferenza stampa di fine anno (doveva essere a fine dicembre) e hanno resistito oltre tre ore facendo domande al premier, in una nota ha sottolineato che la protesta continua e nel corso di una riunione che si è tenuta proprio ieri è stato deciso che la mobilitazione proseguirà «con iniziative di piazza e assemblee nella redazioni». Alla Fnsi, inutile negarlo, non va giù ad esempio che in Rai sia nato un sindacato alternativo all’Usigrai, da sempre titolare del potere sindacale a viale Mazzini nonché stretto “parente” della Federazione.

 

 

 

Per il gruppetto “rosso” che ha sempre deciso nomine, promozioni, riferimenti politici, «è in atto un’occupazione della televisione di Stato da parte del governo», insomma la solita accusa che si sente da un anno a questa parte di una presunta “Telemeloni”. Accusa respinta dalla presidente del Consiglio che ha ricordato come «la sinistra in passato con il 18 per cento dei consensi è riuscita a esprimere il 70 per cento di posizioni in Rai». Mentre oggi il tentativo è di riequilibrare i pesi nella più grande azienda culturale del Paese. Alla sinistra tutto questo forse non piace perché per la prima volta si trova senza lo scettro del comando. Quindi comincia con il disertare le conferenze stampa del premier. Peccato che per un giornalista non essere a una conferenza stampa è come un giocatore che non tira un rigore per protestare perché lo fanno giocare poco. 

 

 

 

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