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Scuola, i collettivi si arrendono ai papà: finite le occupazioni dei licei

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Chiara Pellegrini
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Gli studenti del liceo Terenzio Mamiani di Roma, entrati abusivamente nei cancelli della scuola il 4 dicembre scorso da leoni ne usciranno questa mattina in rima baciata. La protesta infatti dopo dieci giorni di occupazione si è trasformata in una debacle. Ieri, alle quattordici, mentre rintoccava la campanella del vicino istituto, il Belli, nel piazzale antistante del Mamiani c’era infatti solo un esiguo nugolo di ragazzi infreddoliti in felpa. Barricati dietro al cancello bloccato con un catenaccio da moto, la cui vista del cortile era parzialmente oscurata da pannelli di compensato, facevano la conta dei presenti. Capo chino, con le pive nel sacco, raccontavano già di non aver ottenuto ancora nulla delle richieste presentate. «Vogliamo un tavolo permanente con Ufficio scolastico regionale (Usr), Città Metropolitana di Roma e Ministero e istruzione e del merito».

Nulla hanno raccolto se non l’irritazione della preside. La dirigente Tiziana Sallusti, infatti, negli scorsi giorni aveva avvisato in una lettera i genitori degli alunni che la protesta non solo bloccava lo svolgimento della didattica ma anche «l’attività della segreteria». Morale: mamma e papà avrebbero dovuto sborsare «64 mila euro» per la mancata rendicontazione dei «progetti Pon, legati al Pnrr». Le mamme, i papà del Mamiani quando hanno visto arrivare il conticino della dirigente hanno dato una strigliata ai figli, che questa mattina faranno fagotto e che già nella giornata di ieri mettevano le mani avanti: «Noi non abbiamo mai vietato al personale della segreteria di entrare».

 

 

La resa è arrivata ieri pomeriggio, in un comunicato inviato a tutta la comunità scolastica: «Nonostante le reiterate richieste, le nostre aspettative non sono state soddisfatte». Si consolano con l’aglietto: «Abbiamo ricevuto, da parte dell’Usr e della Città Metropolitana di Roma, una risposta ufficiosa che potrebbe aprire a un dialogo istituzionale». Ma non c’è nulla di ufficiale. Ovviamente promettono ancora proteste, non a scuola ma «nelle piazze a partire dalla prossima settimana». Certo tra i successi dell’occupazione di questi giorni c'è un colorato murales.

Altro quartiere stessa musica. La “rivolta” del liceo Giulio Cesare, quello citato dalla canzone di Antonello Venditti, per intenderci, è durata poco più di 48 ore. Sono stati gli stessi studenti a rimandare al mittente l’occupazione. Non certo per immarcescibile stacanovismo da libri quanto invece ma per il rischio di alcune classi di maturandi di vedere saltato il viaggio di istruzione a Madrid.

 

 

Ieri mattina fuori dalla scuola la preside Paola Senesi, con docenti e rappresentanti del consiglio di istituto, ha atteso pazientemente dalle otto di mattina che alunni di degnassero di concedere udienza. Solo alle dieci i ragazzi, pochi e divisi, hanno incontrato gli insegnanti.

Nell’incontro la preside cerca di trovare un compromesso tra i proclami “urbi et orbi” degli alunni e le esigenze scolastiche. Ma ai ragazzi “duri e puri”, che naturalmente la gita con le loro classi l'hanno già fatta, non basta: vogliono una promessa scritta della dirigente. «Ce l’hanno detto cinque avvocati che si può fare», racconta Daniele del collettivo Zero alibi. La dirigente non abbocca e nel pomeriggio arriva la nota: «L’occupazione in atto impedisce l’erogazione del servizio scolastico in tutta la sua completezza e complessità (...) il viaggio d’istruzione delle classi III A, III C, III I programmato dal giorno 16 al 20 dicembre 2023 non potrà aver luogo». Con buona pace dei genitori che perderanno i 749 euro euro già sborsati per il viaggio e di tutti i maturandi incavolati. Passano poche ore e gli studenti barricaderi fanno retromarcia: «Gli occupanti mantengono le loro richieste ma si disoccuperà domani mattina». “Poscia, più che” l’occupazione “poté” la gita.

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