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Aldo Moro, il legame tra la figlia Agnese e il rapitore del padre

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Era poco più che un ventenne Francesco Bonisoli quando ha partecipato al sequestro del presidente della Dc Aldo Moro e all’uccisione degli uomini della sua scorta in quel tragico 16 marzo del 1978 in via Fani a Roma. Ora, a 68 anni, l'ex terrorista rosso è un uomo diverso. E lo dimostra l'amicizia, sì amicizia, che lo lega con Agnese Moro, figlia dell’ex presidente del consiglio. Ieri, ad esempio, è stato lui il primo ad alzarsi in piedi e applaudirla quando, a Palazzo Ducale a Genova, le hanno consegnato il Premio internazionale Primo Levi, per il suo impegno nella giustizia riparativa. "Grazie ai miei preziosi amici difficili e improbabili", ha detto Agnese Moro guardando serenamente Bonisoli. 

Racconta Michela Bompiani su Repubblica che lui segue lei in quasi tutti gli incontri pubblici, seduto in platea, oppure accanto, a raccontare il loro percorso di giustizia riparativa, "che ci ha liberato dall’essere noi vittime per sempre e loro cattivi per sempre. Loro hanno bisogno di noi e noi di loro, quando lo abbiamo capito, siamo diventati amici", spiega la Moro per poi raccontare che a costruire questa un’amicizia “improbabile” ci sono voluti sei anni: "Quando mio padre è morto, avevo 25 anni, tre anni più di lui. La prima volta che mi sono trovata in una stanza con uno di loro ho pensato 'Oddio, cosa ci faccio qui'. Mi aveva portato una piantina, una cosa viva. Io mi aspettavo un fantasma, di quelli che mi ero immaginata per trent’anni. Invece avevo davanti un uomo vecchio, come me. E mi disse: 'Hai una faccia che non si può guardare' perché gli ricordavo mio padre". "Ci siamo detti cose indicibili e inascoltabili", ha ricordato l'ex terrorista, "eppure le abbiamo dette e le abbiamo ascoltate, nel rispetto reciproco". "Adesso", aggiunge la Moro, l’ex brigatista è diventato "uno dei miei difficili, improbabili e preziosi amici".

 

La figlia dello statista ucciso dalle Br puntualizza che "niente può riparare l’irreparabile, mio padre non posso aggiustarlo e neanche posso riattaccare i cocci di quando mi sono rotta, con la sua morte, però", aggiunge, "la giustizia riparativa toglie le maschere in cui ci siamo intrappolati: vittime e cattivi. Siamo tornati persone". Ricorda Repubblica, che tutto è cominciato nel 2009, quando entrambi hanno intrapreso un percorso di giustizia riparativa, con il “Gruppo l’incontro”, con tre mediatori, Claudia Mazzucato, Guido Bertagna e Adolfo Ceretti e il dialogo con il cardinale Carlo Maria Martini, che seguiva il progetto. Undici incontri protetti, in sei anni, tra una casa dei Gesuiti sulle Alpi Marittime e l’abbazia milanese di Viboldone: "Abbiamo passato settimane intere in un posto dove non prendevano i telefoni", ricorda Bonisoli e insieme lavavano piatti, si chiudevano in silenzio e hanno giocato pure a calcetto. "Pensavo che il dolore fosse solo mio", dice Agnese Moro, "poi ho accettato di varcare una soglia e di incontrare chi era coinvolto nell’uccisione di mio padre e ho capito che al mio, corrispondeva un altro dolore. E allora abbiamo attraversato i nostri inferni insieme". 

 

 

 

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