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Torino, puniti gli antagonisti: era ora, adesso chi occupa rischia la galera

Claudia Osmetti
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Otto mesi e dieci giorni di carcere, più alcune centinaia di euro di multa: è a quanto il tribunale di Torino ha condannato, giovedì mattina, sedici ragazzi (molti dei quali antagonisti) che nel maggio del 2021 hanno occupato, non per una ma per due volte di fila, un’aula del campus Einaudi, nel cuore della città piemontese. Una sentenza secca, di cui se ne leggono poche, arrivata al culmine di un processo che aveva rinviato a giudizio 23 persone (e che, quindi, ne ha assolte una decina).

Un’inchiesta portata avanti da due magistrati, i pm Paolo Scafi e il collega Enzo Bucarelli, e che si è concentrata su due episodi (ossia su due occupazioni) distinti: il primo, il 13 maggio di due anni fa; il secondo, qualche giorno dopo. Sempre lì, però. Sempre nell’aula C1 del campus universitario Einaudi. Il tutto era iniziato come “risposta” del centro sociale Askatasuna per il sequestro preventivo di uno spazio, poi si è protratto per giorni e persino per notti.

 

 

Si erano verificati addirittura degli scontri con alcuni studenti di estrema destra che stavano distribuendo volantini in una zona nelle vicinanze. La tensione, qualche tafferuglio. Sappiamo come vanno certe cose, succedono di continuo. Gli antagonisti l’avevano detto subito, tuttavia: avevano detto che quell’occupazione sarebbe durata. E quando il nottolino della porta dell’aula C1 è stato sostituito, hanno iniziato a darsi il cambio. Adesso-ci-sto-io-dopo-tocca-a-te. Con l’intento di non lasciare mai la stanza vuota, di presidiarla costantemente. Col sole e col buio, ora dopo ora. 

Finché non è intervenuta la polizia, ma nemmeno gli agenti sono stati sufficienti. Sgomberato il locale, infatti, gli antagonisti sono tornati, occupando (di nuovo) quella stessa classe: era il 17 maggio del 2021. Violando i sigilli, entrando ancora abusivamente in una struttura nella quale non avrebbero potuto. E minacciando, pure, una guardia giurata che stava facendo giusto il suo lavoro, che voleva controllare cosa stesse accadendo in un’aula accanto, la quale sarebbe stata occupata di lì a poco, a sua volta, e che si è trovata davanti uno di questi ragazzi che gli ha sibilato: «È meglio che vai a farti un giro e che non crei problemi, oppure te la facciamo pagare».

 

 

Lo stesso trattamento è stato riservato anche un impiegato del campus. La procura di Torino ha contestato agli imputati reati che vanno dalla violazione dei sigilli, al danneggiamento, all’invasione degli edifici, su su fino all’aggravante che quello spazio occupato era destinato a un uso pubblico. Non privato, pubblico. Il che vuol dire di tutti. Ma di tutti non significa che uno (o più) può (o possono) disporne a proprio piacimento e senza rispettare le regole.

Torino. I contorni di una storia che sembra ripetersi. Gli scontri, di questa settimana, ancora al campus Einaudi, ancora con le proteste per un volantinaggio del Fuan, un’organizzazione studentesca di destra, ancora lo scontro fisico con la polizia, ancora con l’università costretta a esprimere «viva preoccupazione per la perdurante escalation delle tensioni intorno agli spazi universitari». Dopo il processo per i fatti del 2021, ora c’è la Digos, la Divisione investigazioni generali e operazioni speciali, a Torino, impegnata a scrivere una relazione su quanto successo recentemente, relazione che verrà inviata alla procura. E c’è la polemica che monta sulla «carica a freddo» (la definisce così chi si è ritrovato nel mezzo) delle forze dell’ordine.

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