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Roma, spintoni e urla contro chi difende Israele: "Nazista, vai via"

Chiara Pellegrini
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Una signora chiede abbassare le bandiere palestinesi perché «fuori contesto» nel giorno della condanna alla violenza contro le donne. Affermare che Israele «è un Paese libero dove anche le donne musulmane possono vivere senza pregiudizi, a differenza di tanti Paesi arabi, come la Palestina». Tanto è bastato perché ieri, in un Circo Massimo gremito, un gruppo di baldanzosi uomini e donne, con kefiah sul capo, egiziani, palestinesi e italiani, spintonasse in malo modo Angela, una mite signora di 76 anni.

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Angela, che ha scelto un giaccone rosso per scendere in piazza, un colore simbolo del sangue versato da tante donne. Tonalità che ricorre sulle strisce dipinte sui volti delle ragazze che la affrontano con eccessiva veemenza. Un’anziana signora che ha avuto l’“ardire” di dire la sua: le donne palestinesi non sono libere e non per colpa di Israele. Come Israa Graeb uccisa in un letto di ospedale nel 2019 a Beit Sahour, in Cisgiordania, dove si trovava a causa delle botte ricevute dal fratello e dai cugini. Donne che fino al 2000 erano costrette a sposare gli uomini da cui erano state stuprate. Diritti calpestati, disparità di genere nel teatro dell’assurdo che è diventato l’Onu, per il quale l’unico colpevole è lo Stato di Israele. Tanto da condannare Israele (risoluzione del 2019) come «principale ostacolo» per le donne palestinesi «per quanto riguarda il loro progresso». Una beffa totale dei diritti umani.

Questo spicchio di piazza però crede ad Israele invasore e la signora Angela non può che dare fastidio. Non c’è spazio per le altre opinioni tra le grida concitate di «Free, free Palestine». Berciano contro Angela: «Fascista, fascista». La accerchiano. Non fosse stato per i resti del tempio di Apollo Palatino, il campanile della Basilica di Santa Maria in Cosmedin a fare da sfondo, per gli alti pini sferzati da un insolito, gelido, vento autunnale e per l’indubbia, pacifica, moltitudine rosa, la masnada pro palestina avrebbe potuto essere incastonata tra le curve da Daspo del calcio. Saranno almeno una ventina quelli che accerchiano Angela, che coraggiosamente resta al suo posto. Le forze dell’ordine sono lontane, d’altronde doveva essere un corteo pacifico.
Brandiscono le bandiere nere, bianche e verdi, sovrapposte da un triangolo isoscele, come fossero alabarde. Angela prova ad abbassarle. Non ci stanno e non rispettano l’età della signora in rosso. L’accerchiano. «Nazista», le grida un brizzolato signore italiano con uno striscione in mano. E ancora le gridano: «Via, vattene via».

Un’altra donna, che indossa ben due simbolici foulard fucsia e viola, le tira la giacca rossa dai polsi: Angela rimane con le mani disperse nel manicotti del giubbotto come fosse Cucciolo di Biancaneve. C’è anche Maya Issa, presidente del movimento studenti palestinesi. Angela le dice: «Ci sono donne stuprate da Hamas, togli quella bandiera». Maya non ci sta, «questa è il simbolo della resistenza Palestinese». Intorno la protegge la sua cricca variegata, composta anche di uomini con fascetta in fronte a scacchi bianchi e neri, che sbraita contro la signora italiana in arabo. Maya è la più pacata. Le chiediamo se sia sicura che ci sia un unico imputato, Israele. Ammette che la «società palestinese è patriarcale e maschilista» ma non si sente di definire «Hamas “terroristi” perché se non rappresenta tutti è parte del popolo palestinese. Non giustifico», dice, «quello che Hamas ha fatto il 7 ottobre ma lo comprendo perché Israele amministra Gaza». Impossibile replicare. Due signore consigliano all’indomita signora di allontanarsi. Angela distante dalla folla spiega: «Non ci dovevano essere bandiere, doveva solo essere contro le violenze». Arresa e amareggiata si aggiusta il basco beige e si incammina verso casa, alla sua destra la Bocca della verità.

 

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