Ariela Piattelli contro le femministe: "Che silenzio sulle ebree uccise"
«Silenzio assordante», l’ossimoro che descrive la sciagurata indifferenza del femminismo italiano di fronte a stupri, uccisioni, mutilazioni di donne, bambine, anziane, persino disabili israeliane, avvenuti nel massacro del 7 ottobre. Nel doppiopesismo di chi coscienziosamente implora che non ci siano più donne ammazzate dagli uomini per gelosia, possesso, violenza, di chi si batte per la gender equality, l’eccidio perpetrato dai terroristi palestinesi è un piatto vuoto della bilancia. «Si assiste ad un doppio standard da parte di quelle organizzazioni che fondano la loro esistenza su questo. C’è un silenzio sconcertante dietro», spiega preoccupata Ariela Piattelli, direttore della rivista della comunità ebraica Shalom.
Quanto pesa il pregiudizio antisemita?
«È una domanda che ci poniamo tutti. In questi giorni e settimane in vista della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne ci saremmo aspettati una denuncia per le donne stuprate e uccise dai terroristi. La storia ci ha insegnato che l’indifferenza ha un caro prezzo. Per noi dal 7 ottobre tutto è cambiato, niente è come prima. Come ha sottolineato Mara Carfagna, in un suo intervento sulla nostra rivista, le organizzazioni nazionali e sovranazionali che si occupano di diritti umani, diritti delle donne, diritti delle bambine e dei bambini, a cominciare da Amnesty International, Un Women, Unicef, Save The Children, hanno il dovere morale di riconoscere queste violenze e di chiedere giustizia».
I tristemente noti quarantacinque minuti di video di stupri e massacri dovevano essere resi pubblici, gli italiani hanno bisogno di toccare per poter credere?
«Credo di sì purtroppo. Il generale Eisenhower quando arrivò con i propri uomini presso i campi di concentramento non ebbe il minimo dubbio. Ordinò che fosse scattato il maggior numero di fotografie alle fosse comuni e disse: “Filmate tutto, perché arriverà un giorno in cui qualche idiota negherà che sia mai successo”. Eppure oggi ci sono i negazionisti, i difensori di Hamas».
In Francia una lettera-appello di un collettivo di personaggi pubblici francesi chiede alle organizzazioni umanitarie internazionali di riconoscere il raid stragista di Hamas del 7 ottobre come “femminicidio di massa”. In Italia tutto tace.
«C’è sempre la sensazione che l’attenzione sia diversa, come se le israeliane fossero “meno stuprate” delle altre. Spero si sveglino le coscienze e che qualcuno dica qualcosa. Intanto domani (oggindr) in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, la Comunità Ebraica di Roma esporrà la videoinstallazione “Il silenzio è complice”. È parte di una campagna di sensibilizzazione partita già nei giorni scorsi sulle pagine di Shalom.it per denunciare la mancata condanna delle organizzazioni in difesa dei diritti delle donne uccise da Hamas».
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Quanto pesa in questo oblio la presenza di un governo guidato da Netanyahu?
«Appoggiare le ragioni dello Stato di Israele significa diritto a vivere ed esistere in pace anche con i suoi vicini. Io ricordo che c’è un diritto a vivere di Israele che è stato calpestato e che la guerra, che sta conducendo, non solo non è stata mai cercata ma è di difesa. Tra l’altro tra i trucidati del pogrom di ottobre c’erano molti pacifisti più che distanti dal governo Netanyahu».
La senatrice Liliana Segre ad un mese dall’attentato di Hamas ha detto “Mi sembra di aver vissuto invano”, sottolineando rigurgiti di antisemitismo. Gli ebrei vanno bene solo se sono morti?
«È evidente che ricordare non è bastato, avrebbe dovuto significare “mai più” ed invece non è stato. Il 7 ottobre è stata la cosa più vicina ai pogrom più efferati della storia. Pare che sia così gli ebrei vanno bene solo se sono morti e soprattutto se ammazzati dai nazisti, quelli di Hamas non contano».
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