Giulia Cecchettin, non esiste una legge che cancelli il male dal cuore dell'uomo
Filippo ha ucciso Giulia, non è chiaro perché ma tutti sanno già come risolvere il problema che avrebbe generato il delitto. La sorella della vittima afferma che “lui” non è un mostro ma un «figlio sano del patriarcato». Da più parti si invocano lezioni di educazione sessuale a scuola; e il Ministero si attrezza.
La politica si mobilita e all’orizzonte intravediamo leggi, leggine, leggione. Cercare di estirpare il male dal cuore dell’essere umano è una conseguenza quasi scontata per il nostro mondo che pretende di controllare il clima e prevedere i cataclismi naturali; un mondo in cui la pena per chi commette un crimine deve essere sempre riabilitativa, il delitto sempre prevenuto, magari cancellando povertà e disuguaglianze che ne sarebbero alla radice. La nostra società non accetta il rischio, e quella italiana non ne vuole sentire parlare nemmeno nel campo della finanza. Il cristianesimo dà ancora forma alla nostra mentalità collettiva, chiamiamola così, ma una idea come il peccato originale ci risulta inaccettabile. L’essere umano per noi non può essere irrimediabilmente bacato.
Sarà. E tuttavia viene da chiedersi se pensiamo davvero che si possa imparare a scuola qualcosa sull'amore. Che si possa davvero insegnare il controllo delle emozioni. E soprattutto: non è forse vero che tutti e tutte abbiamo un punto di rottura superato il quale diventiamo come Filippo? Le femministe hanno ragione su questo ma credono comunque che il maschio si possa educare, addomesticare, donnizzare anche più di quanto sia stato già fatto.
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E che dire delle ragazze? Gelosia, vendetta, un certo grado di violenza sono così estranei al sesso femminile? È poi: quanto è onesto richiamare le donne all'ordine, avvertirle di fare attenzione ai rapporti tossici e così via? Come si fa a capire che un rapporto è tossico? E come lo si distingue da un grande amore? Forse è proprio quando sembra un grande amore che bisognerebbe darsela a gambe levate. Ma questo è il punto di vista di chi, freddo e razionale già di suo, ha rinunciato a scendere in campo nella vita. Qualcuno che non ha bisogno di lezioni o norme o sedute di psicoterapia. Uno che sta alla larga da quella cosa appiccicosa e incontrollabile che tiene insieme due persone.
Secoli di romanzi non insegnano nulla anzi non fanno che da esche per le storie che si ripetono dalla notte dei tempi. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse. Gli unici consigli efficaci in questo campo li hanno dati Origene e il Budda. Rinunciare. D’altro canto, fa abbastanza ridere che il filosofo il quale più di altri ci ha messo in guardia contro questo dire no alla vita in tutti i suoi aspetti più feroci o vergognosi, cioè Friedrich Nietzsche, fosse un poveraccio succube delle femmine di casa e la cui cena ideale era a base dei panini imbottiti personalmente da mammà. Ma se si vuole vivere non basta ricevere una pacca sulla spalla. Quantomeno, per l’uomo che sbrana il suo simile bisogna anche solo garantire una gabbia dalle sbarre d’acciaio.