Giorgia Meloni nel mirino delle femministe? Ma a Gaza... come perdono la faccia
Avvertenza: le due manifestazioni di Non una di meno - oltre a quella principale di Roma ce ne sarà un’altra a Messina - sono state convocate il 7 novembre. Quindi prima della tragedia di Giulia Cecchettin. Di conseguenza ora l’ottava mobilitazione in altrettanti anni contro la «violenza patriarcale» in coincidenza della “giornata nazionale contro la violenza di genere”, sabato 25 novembre, è destinata ad assumere tutt’altra visibilità.
Avvisaglie ci sono già state: a Roma sabato scorso c’è stata una “passeggiata arrabbiata” nelle vie del Pigneto, quadrante est della Capitale, zona di movida, con fischietti e cartelloni. Stessa cosa è successa a Reggio Emilia, a Castelfranco Veneto, a Treviso, a Messina. Ma per tutt* - l’asterisco è obbligatorio, visto che i comunicati redatti da quello che si definisce “movimento femminista e transfemminista” riflettono il rifiuto di ogni riferimento al genere l’appuntamento clou è, appunto, sabato al Circo Massimo di Roma (ore 14,30) e, in subordine, a largo Seggiola di Messina (sempre alle 14,30).
Nella Capitale l’“antipasto” di ciò che accadrà tra qualche giorno ha ricevuto l’appoggio del circolo Arci “Sparwasser” e di “Esc Atelier”, un collettivo autogestito che ha occupato un immobile comunale dismesso in via dei Reti. Ma c’è da giurare che la nuova manifestazione attirerà in piazza tutti coloro che non vedono l’ora di protestare «contro il governo, le sue politiche e le sue retoriche». Un esecutivo - il testo che segue è tratto dalla piattaforma di rivendicazione pubblicata sui social del movimento - «che dietro una misera facciata di contrarietà alla violenza, nei fatti ne riproduce e anzi consolida le fondamenta in tutti gli ambiti della vita».
Così l’adunata di Roma e Messina per «Giulia Cecchettin e per tutte le donne, le persone trans* e non binarie e le libere soggettività schiacciate dalla violenza patriarcale» - «saremo marea, saremo rivoluzione, invaderemo le strade»- si appresta a essere l’ennesima manifestazione anti-governativa dove entra un po’ di tutto. Come la piazza della Cgil.
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APPELLO TRANSFEMMINISTA
Il post con il quale Non una di meno annunciava la doppia manifestazione sembra più un proclama politico dell’opposizione con qualche elemento di tragica comicità, come vedremo- che altro. Che poi alla voce “altro” c’è la ricetta del movimento per contrastare la piaga delle violenze: «Mentre il governo parla di testa sulle spalle, di condotta morale e inasprimento delle punizioni, noi vogliamo una presa di coscienza transfemminista, educazione sessuo-affettiva nelle scuole, rafforzamento dei centri anti-violenza e dei consultori».
Nel programma che illustra i motivi della protesta si trova ben altro. Il governo è praticamente colpevole di tutto: ha strumentalizzato «gli stupri di Palermo e Caivano rispondendo a violenza con violenza e militarizzando il linguaggio e i territori»; «ha portato avanti un attacco spietato alle famiglie omogenitoriali»; ha criminalizzato il «sex work»; in Parlamento «le forze di destra e conservatrici» sferrano «attacchi continui contro l’educazione alle differenze, all’affettività, alla sessualità e al consenso nelle scuole»; ha sottratto «fondi ai servizi e al welfare svincolati dalla famiglia e centrati sulla libertà di scelta». In più «l’accesso all’aborto continua a essere ostacolato e negato» e l’esecutivo «partecipa e finanzia l’escalation bellica».
Ma il meglio, si fa per dire, arriva quando Non una di meno chiede «un chiaro posizionamento in favore del popolo palestinese e della sua liberazione». Che cosa c’entri questo con i «femminicidi e i transicidi» è il primo mistero. Il secondo è se dietro lo slogan «Palestina libera» si nasconda una conoscenza approfondita della condizione delle donne nella Striscia di Gaza. Che Israele alle «transfemministe» non piaccia è noto. Le fondamenta dello Stato ebraico, a loro dire, sono il «nazionalismo religioso» e il «colonialismo d’insediamento che utilizza lo strumento dell’apartheid». Israele è «uno Stato fascista, imperialista, razzista e colonizzatore», che segue la «logica dell’eliminazione e della pulizia etnica».
MEGLIO LA SHARIA
La conseguenza, se la parole hanno un valore, è che le militanti di Non una di meno preferirebbero vivere nella Gaza amministrata da Hamas piuttosto che in Israele. E qui arriva la tragica comicità. O, se si preferisce, l’autogol, vista la condizione femminile nella Striscia: disoccupazione record (62%); violenze domestiche (le denuncia il 51% delle donne); classi separate a scuola, permesso di mettersi in viaggio solo con il consenso del tutore maschio (padre, fratello o marito) e applicazione della legge islamica (sharia) nelle corti di giustizia. Ultimo dato: secondo il Women’s center for legal aid, organizzazione non governativa impegnata nella lotta contro la violenza di genere nei territori palestinesi, i femminicidi nella Striscia di Gaza sarebbero aumentati dopo la presa del potere di Hamas, nel 2007. Altro che il “patriarcato” italiano.
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