Sciopero, poveri pendolari: perché sono considerati lavoratori di serie B
Al tavolo dello sciopero (sempre, non solo a quello che ha infiammato il dibattito degli ultimi giorni) siede quasi imbarazzato un convitato di pietra, frastornato da un vociare stereofonico incentrato sui “diritti”, salvo poi vederseli passare sotto il naso su vassoi d’argento per finire serviti sul piatto di qualcun altro: è il lavoratore-pendolare. Costui, mediamente, non conosce quanti articoli abbia la Costituzione ma, a forza di sentirsela infilare in ogni discorso che riguarda la “dignità del lavoro”, ha almeno imparato che l’articolo 1 suona così: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».
Perciò, il lavoratore-pendolare (secondo gli ultimi dati Istat 22 milioni sono lavoratori veri e propri, più 11 milioni di studenti) non si capacita per quale motivo il diritto di chi vuole scioperare sia garantito ma avvenga ai propri danni, non capisce per quale ragione chi vuole andare a lavorare ed ha bisogno di spostarsi utilizzando mezzi pubblici non possa farlo perché i sindacati stabiliscono che le loro motivazioni sono vincolanti, più importanti, e quindi i bus, i treni, le navi, gli aerei, i tram devono restare fermi. Viene forte il sospetto che Landini e Bombardieri, i due protagonisti (perdenti) del braccio di ferro col governo, non abbiano mai guardato in faccia qualcuno che aspetta il treno per ore sperando che (forse) parta o arrivi; è certo che Landini e Bombardieri non sono mai stati seduti in auto accanto a qualcuno che ha dovuto prenderla per entrare a Roma, a Milano o qualsiasi altra grande città ritrovandosi annegato in code chilometriche e sconsolato alla ricerca di un parcheggio. Per Landini e Bombardieri il lavoratore-pendolare non esiste: non esiste il diritto di un genitore di non dover stravolgere la propria giornata per portare i figli a scuola o dalla tata; non esiste il diritto di chi ha pagato un abbonamento per i mezzi e perciò butta nel cesso i propri soldi; non esiste il diritto di chi programma la propria attività, i propri studi, i propri appuntamenti ma è costretto a farli saltare per il capriccio di qualcun altro.
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Il lavoratore di Landini e Bombardieri è quello che va a schiamazzare in piazza il venerdì e il lunedì facendosi portavoce di una forma di lotta ormai obsoleta. Colpa del lavoratore in questione o di chi furbescamente lo manipola? È una questione aperta, che tuttavia dipinge bene come le attuali forme di protesta collettive stridano con i tempi, siano superate dallo sviluppo del mercato dell’impiego, cozzino con la multiforme realtà lavorativa che nei decenni si è formata. Landini e Bombardieri, e quanti li sostengono (come il Pd e la sinistra tutta), sono ancora paralizzati allo scontro dicotomico del “padrone contro gli operai”. Qualcuno spieghi loro che non funziona così. E qualcuno spieghi ai lavoratori che scioperano su input sindacale (perché si sentono vessati nelle richieste, nelle mansioni, nelle paghe ritenute inadeguate) che non possono pretendere solidarietà dagli altri quando la loro ratio è «mors tua, vita mea». Quando Landini fa marcia indietro sullo sciopero generale finge di non essere uscito sconfitto, rilanciando invece che «siccome siamo persone responsabili e facciamo i conti» con la precettazione, «tuteliamo i lavoratori» altrimenti esposti a «sanzioni economiche e penali». Il lavoratore-pendolare prende nota e, anche stavolta, realizza che, secondo i sindacalisti del lavoro, i disagi e le perdite economiche causatigli dagli scioperi non esistono. Anzi: il lavoratore-pendolare è un lavoratore di serie B. Ma, come gli elefanti, ha la memoria lunga...
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