Coste, allarme-erosione: le spiagge italiane inghiottite dal mare
Le mareggiate. Il maltempo, l’erosione, in qualche caso pure il turismo di massa: le spiagge italiane stanno scomparendo. Quei nostri 7.500 chilometri di costa, da Nord a Sud, balneabili o meno, si stanno riducendo. E a una velocità spaventosa. Dice l’Ipra, che è l’Istituto superiore perla protezione e la ricerca ambientale, che su 644 Comuni costieri, sono 54 quelli che, negli ultimi anni, hanno visto arretrare il loro territorio fronte-mare per più del 50% della loro estensione. Alcuni (cioè sette) arrivano a toccare percentuali record tra l’80 e il 90%.
Spiagge addio, ma mica solo quelle: i numeri dell’Ispra si riferiscono infatti all’«intera costa di ciascun Comune, occupata anche da tratti che non sono spiagge e che non possono quindi andare in erosione. Come i litorali con le coste rocciose, le foci fluviali e tutte le opere antropiche». Cioè fatte dall’uomo per l’uomo. Le piogge e i temporali di inizio mese, per esempio, in Veneto hanno fatto scattare la campanella d’allarme. Nel senso che i sindaci di tutte le città balneari del Veneziano hanno avviato la conta dei danni. Obiettivo: arrivare preparati alla prossima stagione estiva, altrimenti è il disastro. «Ogni spiaggia ha delle zone che sono state erose ed è sul ripristino degli arenili che dobbiamo ragionale», racconta, sulle pagine del quotidiano locale Il Gazzettino, la prima cittadina di Cavallino Treporti (nonché presidente della conferenza dei sindaci della costa veneta) Roberta Nesto: «Fino a quando non ci saranno delle opere di difesa l’unica soluzione è quella del ripascimento».
DA NORD A SUD
Ossia della sabbia, portata in grandi quantità, coi camion e con i tir, con quel che è necessario, per ricostruire quei lotti di terreno persi, al confine con l’Adriatico. «Dobbiamo attivarci tempestivamente in termini di risorse, soprattutto economiche», ammonisce Nesto. E ha ragione. Non è la sola a dirlo (e a farlo). In Liguria è lo stesso. In Sicilia è lo stesso. In Toscana è lo stesso. È, appunto, che il fenomeno dell’erosione costiera non nasce oggi. Lo si conosce da tempo. Nel giugno del 2021 ad Albenga, in provincia di Savona, prima di dare il via ai mesi della tintarella, il Comune ha speso 2,5 milioni di euro per il rifacimento di otto pennelli (le strutture di protezione del litorale) e il ripascimento della spiaggia che li conteneva; la Regione Toscana, nel marzo scorso, ha stanziato un tesoretto di oltre tre milioni di euro per tredici interventi («da farsi in tempi rapidi») di manutenzione delle sue coste, con tanto di master-plan per una progettualità puntuale e mirata.
A Ostia, nel Lazio, quest’anno sono andati persi tra i 15mila e i 20mila metri quadrati di spiaggia; nel 2018 una mareggiata ha inghiottito praticamente tutto l’arenile di Alassio, in Liguria; l’isola campana di Ischia si assottiglia ogni anno del 7%; i lidi di Gallipoli, nell’aprile scorso, sono stati ripristinati con 18mila metri cubi di sabbia (tra l’altro prelevata proprio dal mare); a Jesolo il maltempo di pochi giorni fa ha letteralmente spazzato via 20mila metri cubi di sabbia e le onde si sono mangiate diverse dune.
Già qualche mese fa (ossia a fine agosto) il geografo dell’università La Sapienza di Roma Filippo Celata sosteneva che entro il 2050 potrebbe scomparire il 20% delle spiagge italiane, con situazioni drammatiche in Sardegna (che rischia addirittura il 38% delle sue coste), in Sicilia, in Puglia e in Basilicata (sarebbe in pericolo quasi un quarto delle spiagge lucane). Di contro si corre ai ripari, si fa quel che si riesce, contro i venti e le tempeste, le correnti e l’innalzamento dei mari. Anche contro i cambiamenti climatici che ci sono, nessuno li nega.
LE CAUSE
Epperò bisogna sottolineare che sono i fattori naturali quelli che influiscono maggiormente sull’erosione costiera, specie nel lungo periodo. Le tempeste, le piogge, il maltempo, le mareggiate. Le onde che sbattono sugli arenili, si scagliano lungo le coste e trascinano via quel che trovano. Legambiente ha scoperto che dal 2010 al 2023 si sono verificati ben 712 eventi di meteo estremo nel 37,3% dei Comuni costieri italiani (che hanno causato anche 186 vittime, tra l’altro). Certo, anche l’opera dell’uomo influisce e non dobbiamo nascondercelo. L’abusivismo edilizio, il consumo eccessivo del suolo che ne altera la vegetazione (e che, sempre Legambiente, sottolinea abbia interessato la modifica di 1.771 chilometri di costa naturale dal 2006 al 2019: solo nel 2021 il consumo di suolo nei Comuni costieri è stato pari a più di 420mila ettari, ossia a circa il 27% del totale consumato in tutto il Paese), l’eccessiva estrazione di materiali dagli alvei dei fiumi. Forse non siamo propriamente all’ultima spiaggia, ma poco ci manca. E fare tutto il possibile per evitarlo è d’obbligo. Camaiore e Pietrasanta, Villafranca tirrenica e Viraggio, Camporosso e Montebello jonico, per esempio, assieme ad altre dieci località, ci stanno riuscendo: sono gli unici sedici Comuni costieri (secondo l’Ispra) che presentano tratti di costa in avanzamento di lunghezza superiore all’80%. Almeno quello, almeno lì.