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Erika Preti, la madre si sfoga contro il "killer grasso": "Ma che giustizia è questa?"

 Erika Preti

Hoara Borselli
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Era l’11 giugno del 2017 quando Dimitri Fricano uccise con 57 coltellate Erika Preti. Quella che sarebbe dovuta essere una vacanza nella splendida Gallura si trasformò in una tragedia. In un femminicidio. «Alle 10.59, pochi minuti prima che mia figlia Erika venisse accoltellata, ho ricevuto il suo ultimo messaggio. Era serena, nulla che facesse presagire né a lei né a me quello che le sarebbe di lì a poco capitato».

A parlare è Tiziana Suman, mamma di Erika Preti. Con la voce rotta dal pianto e incontenibile dolore ci racconta lo sconcerto e la rabbia che prova nel sapere che l’assassino di sua figlia, Dimitri Fricano, è fuori dal carcere. Era stato condannato a 30 anni di reclusione, in prigione ci è rimasto solo 6 anni: in sostanza, essendo obeso (pesa 200 chili) e non riuscendosi pressoché a muovere, le sue condizioni di salute sono state considerate incompatibili con la detenzione in cella.

Signora Tiziana, come ha saputo della notizia della scarcerazione di Dimitri Fricano?
«Giovedì pomeriggio, uscita dal lavoro, ho acceso il telefono e mi è arrivata una telefonata da un numero che non conoscevo. Era un giornalista che mi chiedeva di commentare la notizia dell’uscita di Dimitri dal carcere».

 



 

Lei quindi non ne era a conoscenza?
«Assolutamente no. Sono rimasta meravigliata, non lo nascondo, che i miei avvocati non mi avessero avvisata. Appena ho preso coscienza di quello che mi veniva chiesto, della decisione presa dal Tribunale di Sorveglianza di Torino, sono stata travolta dallo sconcerto».

Leggendo la motivazione della sentenza di scarcerazione cosa ha provato?
«Rabbia, tantissima rabbia e dolore. Troppo grasso per stare in carcere? Ma che cosa significa? Ho letto pure che è a rischio la sua salute perché fuma troppe sigarette. Ma è un carcere o un luogo di svago?».

Nella motivazione della sentenza si legge che Fricano è “immobilizzato nell’ozio e sta nella passiva sopportazione di una condizione di inferiorità rispetto agli altri detenuti”.
«Ha bisogno di cure? E perché, invece di mandarlo a casa, non lo mettono in una struttura idonea per curarlo? Sua madre non mi risulta essere un medico. Così, lui può tornare ad abbracciare i suoi genitori e a me di Erika è rimasta solo la foto sulla lapide. Di questo non riesco a capacitarmi».

Si legge anche che essendo Fricano un grande fumatore (circa 100 sigarette al giorno), e non potendo fare attività fisica per via del peso, è a rischio di complicanze cardiache.
«Mi scusi, ma possibile che nessuno in carcere abbia mai controllato che stava ingrassando troppo? Nessuno ha visto che arrivava a fumare 100 sigarette al giorno? Ma dove sono i controlli?».

Vuol dire che la pessima gestione delle nostre carceri può rappresentare un vantaggio per i detenuti?
«Il caso dell’assassino di mia figlia lo dimostra. Hanno permesso che ingrassasse fino a 200 kg per poi dire che il suo essere obeso non è compatibile con la permanenza in carcere. Siccome sono incapaci a gestire i carcerati, mandano a casa persone che devono scontare trent’anni di galera, in sostanza li premiano e li fanno uscire. Come si può tollerare? Che giustizia è questa?».

Da madre posso capire la sua rabbia e il suo dolore.
«È atroce, mi creda. Quell’uomo mi ha rovinato la vita. Non solo mi ha portato via l’unica figlia che avevo, ha rovinato la mia esistenza. Dopo tre mesi dalla morte di Erika ho perso anche mia madre, me la sono trovata priva di vita nel letto. È morta per il troppo dolore. E io non l’ho potuta piangere perché stavo ancora piangendo Erika: lo capisce?».

Ha perso le due persone più importanti della sua vita nel giro di pochi mesi. Mi dice dove ha trovato la forza per non crollare?
«Non me lo so spiegare nemmeno io, come ho fatto. La morte di mia madre, nonostante sia stata una devastazione nella devastazione, mi ha dato comunque un briciolo di sollievo».

In che senso?
«Ho pensato che sarebbe andata da Erika e ci avrebbe pensato lei a starle accanto. Ho pensato che forse quella morte improvvisa non è capitata per caso. Io ero disperata all’idea che mia figlia fosse sola, ora so che stanno insieme».

Le va di parlarmi di Dimitri? Che rapporto avevate prima della tragedia?
«Pareva un ragazzo al di sopra di ogni sospetto, mi creda. Anche dopo la morte di Erika, quando ancora non si sapeva chi fosse il suo assassino, io non ho mai creduto a tutti quelli che invece mi ripetevano che non avevano dubbi sul fatto che fosse lui il colpevole. Per me era impossibile».

 



Per quale motivo non ha mai sospettato di lui?
«Dimitri era arrivato a dire che riusciva a parlare meglio con me che con la madre. Con me si confidava.
La sera prima della sua confessione siamo stati quarantacinque minuti al telefono insieme, e mi ha giurato in tutti i modi che non era stato lui ad ammazzare Erika, ma che erano stati dei ladri».

E quando il giorno dopo ha saputo della confessione di Dimitri?
«Mi è crollato il mondo addosso. Non solo mi ha portato via mia figlia, ma fino all’ultimo mi ha peso in giro. Mi ha rovinato la vita, quell’uomo, che ora potrà trascorrere il Natale con i suoi genitori».

Questo le fa ancora più male, vero?
«Mi dilania l’anima sapere che lui a Natale siederà al tavolo con i suoi genitori, non dico a festeggiare, ma comunque vicino e loro, mentre noi il massimo che possiamo fare sarà portare un fiore sulla bara di Erika. E questo perché il carcere, invece di essere un luogo in cui scontare la pena, è un posto dove ti fanno ammalare e poi vergognosamente ti liberano perché non sanno curarti».

Questa notizia della scarcerazione l’ha fatta ripiombare nel baratro?
«Stavo cercando di recuperare un po’ di normalità per quanto possibile nella mia vita. Una vita che quest’uomo mi ha devastato in tutti i sensi. Oggi a causa sua sono costretta a fare tre lavori».

Perché?
«Per sostenere le spese legali legate al processo. Io sono separata da mio marito, prima lavoravo insieme a mia sorella nel bar che avevamo insieme, poi a causa del Covid e degli avvocati ho dovuto cercare altre fonti di reddito, perché mi sono trovata da sola a dover fare fronte a tutto. Oggi lavoro in fabbrica otto ore al giorno e la sera vado a lavare i piatti».

Tiziana, qual è la cosa che le fa più male di questa sentenza di scarcerazione?
«Ripeto: sapere che la madre di Dimitri potrà dargli il buongiorno la mattina e la buonanotte la sera. Io questo non potrò mai più farlo. A cosa sono serviti i processi se oggi lui sta a casa? È una presa in giro che fa davvero tanto, troppo male. Dolore su dolore».  

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