Elena Loewenthal, "la sinistra sbaglia. Gli arabi non sono vittime di tutto"
Elena Loewenthal, scrittrice, traduttrice, interprete della tradizione ebraica (sua la versione per Adelphi delle Leggende degli ebrei di Louis Ginzberg) e non certo orientata politicamente a destra, è profondamente delusa. È una di quegli intellettuali, non molti per la verità, che sono rimasti esterrefatti ed amareggiati di fronte alle ambiguità della sinistra. Quella dei «mezzi silenzi, o dei silenzi totali», o quella che scende in piazza con le bandiere palestinesi e che non va al Lucca Comics perché patrocinato dall’ambasciata di Israele.
«Il punto è quello di porre dei distinguo, dei “se”, dei “ma” e delle riserve di fronte a una solidarietà o, meglio, all’espressione di sdegno. Perché quello che è successo il 7 ottobre non chiamava tanto la solidarietà, che solidarietà puoi esprimere di fronte a migliaia di vittime di un atroce attentato terroristico? Ci vuole sdegno e condanna univoca, esplicita e categorica che su gran parte del fronte della sinistra, e lo dico con rammarico e dispiacere, non c’è stata. C’è stato invece prontamente da parte di tanti l’accostamento di quel macello a una lotta per i diritti della Palestina. Parlano di pace, ma quando in piazza si grida “via gli ebrei dal mediterraneo al Giordano” non si inneggia certo alla pace, per togliere gli ebrei dal Mediterraneo al Giordano ci vuole una guerra di annientamento contro un Paese sovrano, legittimo, autonomo e riconosciuto come Israele».
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«Alla sinistra internazionale non ho altro da dire che: vai all’inferno», ha scritto Lilach Volach sulle pagine di HaAretz.
«Il mio rammarico di fronte a questi distinguo e a stabilire un nesso tra la lotta e desiderio dei Palestinesi di avere uno Stato con il terrorismo di Hamas è condiviso da buona parte di quella sinistra israeliana che fino a poche settimane fa scendeva in piazza contro il governo e che adesso, a cominciare da David Grossman, da Fania Oz e Etgar Keret, denuncia l“indifferenza morale” della sinistra internazionale e italiana».
Questo cortocircuito della sinistra ha caratterizzato anche le prese di posizione dei singoli Stati in Europa, mentre in America questo delirio si sta fondendo con l’ideologia “woke”...
«Tutto questo ha come sottofondo un terribile equivoco secondo cui se Israele non ci fosse il Medio Oriente sarebbe una sorta di eden pacifico, cioè che Israele porta con sé è il peccato originale di esserci e di essere la causa del male del Medio Oriente. E quindi di conseguenza sarebbe meglio che non ci fosse».
C’è un momento preciso della storia in cui questo peccato originale si è palesato?
«Con la risoluzione dell’Onu del 1947 in cui si decidono due Stati palestinesi, uno ebraico e uno arabo. Spartizione rifiutata dal fronte arabo. Il principio è che Israele è uno Stato occupante a prescindere e questo ha per diretta conseguenza il fatto che poi in Francia e in Belgio ci siano gli attentati, le stelle di David sulle case, insomma che gli ebrei siano obiettivi sensibili in tutto il mondo».
Secondo lei si tratta di antisionismo odi antisemitismo? È una distinzione che a certi settori della sinistra preme molto.
«In questo caso le due cose sono perfettamente combacianti. Nel momento in cui allo Stato di Israele viene negato il diritto di esistenza in quanto occupante e quella ebraica diventa una irredimibile condizione diasporica la sovrapposizione tra antisionismo e antisemitismo è completata. E questo spiega come mai gli ebrei siano un obiettivo sensibile in tutto il mondo».
Teme in un ritorno dell’antisemitismo storico diffuso, come ha suggerito Augias?
«C’è già».
La presenza da noi di così tanti immigrati islamici non aiuta. Kissinger in proposito recentemente ha detto che è stato uno sbaglio enorme farne arrivare così tanti.
«Non mi sento di dare un giudizio su questo accostamento, certamente quell’antisionismo che nega l’esistenza dello Stato d’Israele e rende l’ebreo la figura storica dell’errante e capro espiatorio delle colpe a prescindere... quell’antisemitismo insomma viene anche dalla presenza di un islam molto forte ovunque, ma non mi sbilancerei più di tanto in questo senso».
La sinistra rischia di identificarsi con le posizioni dell’Iran, che peraltro è sponsor e protettore Hamas?
«Il 7 ottobre nella sua drammaticità poteva essere l’occasione di una seria riflessione per la sinistra, che dal 1967 in poi ha rinnegato con dogmatico rigore le ragioni d’Israele. Israele peraltro nasce come il Paese del socialismo reale, Israele era il modello di una società progressista, socialista».
Si riferisce ai kibbutz, quelli della strage di Hamas?
«Tra l’altro l’attacco è avvenuto proprio nei kibbutz più progressisti, più egualitari, più legati alla tradizione originaria. Il governo attuale israeliano ha delle responsabilità e delle mancanze tremende, la mia reazione di fronte a una reazione così fragile, di fronte a uno Stato così impreparato è stata di incredulità, ma non voglio entrare nel merito della discussione sui territori occupati, sulla necessità di trovare una soluzione politica, legittima e stabile».
Il “colonialismo dei coloni” lo hanno definito alcuni studenti e professori della Columbia University...
«C’è altro colonialismo, questa accondiscendenza della sinistra a fare dei palestinesi arabi un fronte totalmente immacolato privo di ogni colpa e responsabilità è una forma di colonizzazione intellettuale. È profondamente ingiusto anche nei confronti degli arabi palestinesi stessi. Questa incapacità di riuscire ad avere una visione politica e degli orizzonti larghi di ordine politico, intellettuale, umano, è un atto di vero e proprio colonialismo e paternalismo intellettuale. Che si è dimostrato anche in questo caso. Cosa ci voleva, cosa ha frenato una certa sinistra dall’esprimere una condanna e una definizione di terrorismo di quello che è successo?».
Come si esce dunque da questa situazione?
«La soluzione prima di tutto è che lo Stato di Israele faccia piazza pulita del terrorismo e cambi radicalmente Gaza. Israele ha il diritto e il dovere di reagire e fare in modo che tutto questo non accada più. Non è ammissibile di fronte a quello che è successo di mantenere uno status quo, su questo non si discute. Quello che sarà il seguito non sono in grado di valutarlo. Mi auguro che ci siano meno vittime possibili e che ci sia un cambio di governo. Va però ricordato che in questi 75 anni i governi di Israele, di destra o di sinistra, hanno fatto molto per trovare una soluzione. Nel 1957 Israele si è ritirata dal Sinai, nel 2000 si è ritirata dal sud del Libano, nello stesso anno Ehud Barak ha offerto ai palestinesi una soluzione di pace che prevedeva praticamente la cessione del 100% della Giudea e Samaria, mentre nel 2008 è stata rilanciata la proposta di una soluzione che prevedesse due Stati palestinesi. E poi non dimentichiamolo, nel 2005 Israele si è ritirata completamente da Gaza portando via con la forza i coloni, eppure i media di tutto il mondo, in particolare quelli di sinistra, continuano a parlare di Israele che occupa Gaza».
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