Giorgia Meloni, le minacce dei terroristi arrestati: "Sparare", "Ciabattate", "So come zittirti"
"Toni violenti e aggressivi" e vere e proprie minacce, in chat. Stanno emergendo i dettagli dei messaggi privati che si scambiavano i due arrestati a Milano, un egiziano e un cittadino italiano anche lui di origine egiziana, con l'accusa di terrorismo in quanto affiliati all'Isis.
"Sparare con un'arma da fuoco ti fa avere un cuore di ferro", scrivevano. E poi minacce a Silvio Berlusconi e alla premier Giorgia Meloni. "Non ti preoccupare per noi, sappiamo benissimo come zittirli e fermarli al momento giusto. Viviamo con loro da banditi, pronti a colpirli a ciabattate", scriveva il 3 ottobre del 2022 il più giovane, che sarebbe stato indottrinato dal più anziano. Pochi giorni prima, il centrodestra aveva vinto le elezioni e i due affiliati all'Isis commentavano con toni carichi di odio. Tra i tanti contenuti postati sulle varie piattaforme social dagli arrestati, spiegano gli inquirenti, figurano "anche contenuti particolarmente allarmanti in quanto contenenti espresse minacce verso corpi istituzionali dello Stato italiano". Le indagini si stanno concentrando ora sia sulle "minacce a organi istituzionali" sia all'eventuale coinvolgimento di persone terze in questa micro-cellula.
"Il nostro immediato appuntamento è a Gerusalemme", si legge in un messaggio dopo un insulto agli ebrei. L'egiziano, nato nel 1974, era in Italia dal 2008, mentre il cittadino italiano era nato nel 1979 e arrivato nel nostro Paese nel 2001. Entrambi vivevano nell'hinterland milanese e come spiegato dal procuratore Viola, il pm Gobbis, il questore Giuseppe Petronzi e il dirigente della Digos Daniele Calenda, sono emersi da parte loro "numerosi versamenti" per "qualche migliaio di euro", circa 4mila euro, verso Yemen, Palestina, Siria, Libano ed Egitto, in particolare verso donne, vedove di combattenti della "jihad islamica". Non solo dunque un sostegno ideologico e culturale, ma fattivo alla causa della Jihad.
L'obiettivo "unico" dei due arrestati, come spiegato dal capo della Digos Daniele Calenda, era "avvicinare chiunque" frequentasse quei gruppi social "al mondo dello Stato islamico", il loro era un "palcoscenico virtuale". Online erano attivi nel "proselitismo, lo scambio di immagini, video, pensieri, propositi anche su cosa andare a fare". Chat in cui mostravano, hanno chiarito i pm, anche il loro "odio verso Israele e l'incitamento alla Jihad in Palestina". Sarebbe stato il più anziano a indottrinare il più giovane.