Brandizzo, l'inchiesta sugli operai morti: chi ha dato il via libera al cantiere
Un boato cupo e poi lo stridere dei freni del treno sulle rotaie. La tragedia si è consumata così, poco prima della mezzanotte di due giorni fa, a Brandizzo, città dormitorio alle porte di Torino. Lungo la ferrovia, dilaniati e irriconoscibili, i corpi senza vita di cinque operai manutentori, tutti italiani: Kevin Laganà 22 anni, Michael Zanera, 34 anni, Giuseppe Saverio Lombardo 53 anni, tutti e tre di Vercelli; Giuseppe Aversa, 49 anni di Chivasso e Giuseppe Sorvillo, 43 anni di Brandizzo. Una strage sul lavoro come quella del 6 dicembre 2007 quando, nello stabilimento ThyssenKrupp di Torino, morirono sette operai, tutti bruciati dal fuoco. Un incidente sul lavoro che nessuno avrebbe mai più voluto che si ripetesse. Ma è accaduto ancora e certo non per fatalità. Un errore umano, verosimilmente dovuto alla superficialità e al pressapochismo di qualcuno.
Ad accertare responsabilità e colpe sarà la procura di Ivre,a che ha aperto un fascicolo penale, come ha spiegato la procuratrice capo Gabriella Viglione: «Ipotizziamo i reati di omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario, ma al momento a carico di ignoti - ha detto-, perché bisogna accettare la scala di responsabilità».
Per ora gli inquirenti non considerano quel “dolo eventuale” che, invece, per il caso Thyssen l’allora procuratore aggiunto Raffaele Guariniello contestò ai vertici del colosso tedesco.
Il racconto dei pochi attimi nei quali si è consumata la tragedia è pressoché didascalico: i cinque operai - più altri due, Andrea Giardin Gibin e Antonio Massa, rimasti illesi - sono intervenuti sui binari nei pressi della vecchia stazione di Brandizzo (da tempo inutilizzata e dismessa), per compiere un intervento di manutenzione per conto della ditta Si.Gi.Fer. di Borgo Vercelli, società appaltatrice di Rfi (Rete Ferroviaria Italiana). Avevano cominciato ad operare da pochi minuti quando è transitato il treno che li ha falciati. Viaggiava a 160 chilometri l’ora, veniva da Alessandria, era senza passeggeri e doveva trasferire 11 vagoni alla stazione di Torio Porta Nuova. I macchinisti del convoglio sono stati ascoltati in procura come testimoni e, da ciò che trapela, sembra verosimile ipotizzare che da parte loro non vi sia alcuna responsabilità. «Anche sulla velocità - spiega Rfi - non vi è nulla da eccepire. In quel tratto, dopo il rallentamento alla stazione di Chivasso, il treno è in fase di accelerazione e Brandizzo è una stazione dismessa». I macchinisti si sono accorti dell’impatto, hanno frenato e il convoglio si è fermato dopo un chilometro.
L’errore umano sarebbe invece da attribuirsi agli operai, oppure a chi (incaricato da Rfi) avrebbe dovuto comunicare loro il via libera ad operare, ma solo dopo il passaggio del treno. «O i dipendenti di Si.Gi.Fer. hanno cominciato il lavoro senza attendere il via, oppure c’è stato, ma prima del passaggio del treno». Gli inquirenti valutano anche un’ipotesi più remota, e cioè che sia gli incaricati di Rfi che i lavoratori non fossero a conoscenza del passaggio del convoglio, fatto improbabile, in quanto la programmazione degli scambi e della chiusura dei passaggi a livello era attiva. Nel cambio turno del personale, però, il transito del treno potrebbe essere stato «dimenticato». Come sarebbe stato dimenticato il rinnovo da parte di Si.Gi.Fer., della certificazione relativa alla sicurezza sul lavoro, scaduta lo scorso 27 luglio.
Dal canto suo Franco Sirianni, titolare dell’azienda di cui le vittime erano dipendenti, ieri non ha voluto entrare nel merito: «Erano dei bravi ragazzi, ma ora lasciateci stare, perché dobbiamo capire ciò che è accaduto, e ancora non lo abbiamo capito». Insieme allo sgomento, al profondo dolore e al cordoglio alle famiglie delle vittime, la stessa Rete Ferroviaria Italiana spiega che sta offrendo «il più ampio supporto e collaborazione agli inquirenti. Questo genere di interventi - aggiunge in una nota Rfi-, che nello specifico riguardavano il cosiddetto armamento (binari, traverse, massicciata) ), vengono affidati anche a imprese esterne qualificate e certificate, e si eseguono come previsto in assenza di circolazione dei treni. Il cantiere può essere attivato, quindi, soltanto dopo che il responsabile della squadra operativa del cantiere, in questo caso dell’impresa, ha ricevuto il nulla osta formale ad operare da parte del personale abilitato di Rfi». Conclude con parole forti e senza speranza Rosaria Demasi Plati, la mamma di Giuseppe, operaio della Thyssen morto a 26 anni dopo 24 giorni di agonia: «Si lavora con superficialità, non c'è prevenzione, non c'è cultura della sicurezza in Italia e mai ci sarà. La gente non può morire in questo modo. Ci sono le regole, ma spesso non vengono applicate e la giustizia, se arriva, spesso arriva tardi».