Annalisa Chirico: è ufficiale, l'uomo non conta più nulla
È ufficiale: il maschio non conta più nulla. Cari uomini, siete un pisello e niente più, un iniettore di spermatozoi, necessario alla riproduzione, va bene, ma non a un progetto genitoriale. Neanche Mary Plard, l’avvocato femminista francese autrice di un saggio di qualche anno fa, dal titolo “Paternités imposées”, avrebbe immaginato un tale epilogo. A far discutere è una decisione della Corte costituzionale che, di fatto, obbliga l’uomo a una paternità differita con una donna che non è più moglie né compagna. Una coppia ricorre alla fecondazione assistita e, a distanza di ben sette anni dalla crioconservazione degli ovuli, la donna richiede l’impianto dell’embrione nel proprio utero, con un dettaglio: i coniugi non sono più tali, si sono separati e l’uomo, “fornitore” dei gameti maschili, non ha alcuna intenzione di diventare padre.
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Non siamo più una coppia: perché dovremmo diventare genitori insieme? La Consulta ribadisce il principio, contenuto nella legge 40 sulla fecondazione assistita, che sancisce l’irrevocabilità del consenso prestato dall’uomo. Si sostiene che tale sarebbe l’“investimento fisico ed emotivo della donna in funzione della genitorialità” da non poter più arrestare il processo una volta avviato. Il divieto di ripensamento vale solo per il maschio: se la potenziale madre recede il problema non sorge ma se l’uomo cambia idea - per esempio, perla non trascurabile circostanza che i potenziali genitori non sono più una coppia che si ama e vuole stare insieme - la sua volontà vale meno di quella femminile. Anzi, non vale nulla. Anche in tempi di demolizione della mascolinità dovremmo riconoscere che noi donne abbiamo l’inestimabile privilegio di poter decidere se e quando diventare madri. La maternità si può rifiutare, la donna può accedere a diversi strumenti per non diventare madre, ma l’uomo no, non può, per lui la paternità è una condizione più o meno imposta. Si dirà: è la natura, bellezza. Guai a rinnegare questa differenza che una volta tanto non ci penalizza, anzi ci fortifica, ma una legge dello stato che fissa il principio ribadito dalla Consulta suscita perplessità insuperabili.
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Forse rivalutare il contributo decisionale dell’uomo e il suo diritto di dire no a una paternità differita, tanto più in casi di Pma e con un coniugio interrotto, restituirebbe dignità al principio di autodeterminazione che non può valere solo per le donne. Un progetto genitoriale si costruisce in due, il maschio non può ridursi a mero distributore di spermatozoi né il nascituro può diventare merce fai-da-te da ritirare in clinica. Il divieto di ripensamento solo maschile, fissato da una legge che andrebbe modificata, ci lascia spaesati rispetto al significato stesso della procreazione che sembra ormai piegarsi a un piano esclusivamente individuale, ai limiti di un approccio egoistico per cui, nella società contemporanea, se desidero diventare genitore devo poterlo diventare, a qualunque costo, anche se la natura non me lo consente, anche se sono single o gay, anche se quell’uomo che sette anni fa si era prestato adesso non vuole più vedermi neanche in fotografia. Io diventerò madre e lui contribuirà alle spese di mantenimento del figlio non voluto, forse un giorno si rassegnerà a essere padre, suo malgrado, e saremo tutti felici. Separati e felici.