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Cassazione, costretto dai giudici a diventare padre

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Giordano Teodoldi
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Ieri una sentenza della suprema Corte ha dovuto sbrogliare una situazione alquanto intricata: nel 2017 una coppia aveva deciso di procedere alla PMA, la procreazione medicalmente assistita. Nel settembre dello stesso anno, marito e moglie avevano assentito alla crioconservazione (insomma il congelamento) dell’embrione formatosi a seguito della fecondazione, per consentire l’esecuzione della biopsia embrionale, che, in caso di riproduzione assistita, è un esame volto a capire, tanto dal punto di vista morfologico che cromosomico, se l’embrione è sano e possa garantire, dopo l’impianto, una gravidanza senza problemi. Nella fattispecie, l’impianto era stato rimandato non per problemi inerenti all’embrione, ma per via della “scarsa qualità endometriale” della donna, come si legge nella sentenza. Nei mesi successivi la donna si dovette sottoporre a terapie farmacologiche, a ulteriori analisi e al cosiddetto “scratch endometriale”, necessario a preparare l’impianto dell’embrione. Impianto che, però, non era stato effettuato, perché nel gennaio del 2018 il marito aveva lasciato il tetto coniugale, e nel marzo 2019 la coppia si era consensualmente separata.

 

 

 

DIETROFRONT
Passa ancora un anno e, nel febbraio 2020, la donna chiede alla struttura sanitaria di procedere all’impianto, che però rifiuta e, il 24 agosto, l’ex marito formalmente revoca il consenso all’applicazione delle tecniche di PMA: non vuole più quel bambino che, tre anni prima, aveva desiderato con l’ex moglie, al punto di ricorrere alla riproduzione assistita. La legge stabilisce che, per avviare il percorso di PMA, ci vuole il consenso della coppia “per iscritto e congiuntamente al medico responsabile”, quindi che tra la manifestazione di tale volontà e l’applicazione della tecnica “deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni”, e, infine, che tale volontà “può essere revocata da ciascuno dei soggetti fino al momento della fecondazione dell'ovulo”. Dunque il marito aveva abbondantemente superato il termine di legge per poter ripensarci, tuttavia, per la Corte, la questione non era affatto pacifica, perché l’uomo, in virtù della separazione, rivendicava la sua “libera autodeterminazione” e dunque la legittimità del suo rifiuto a condividere la responsabilità genitoriale con l’ex moglie. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha stabilito che l’uomo non può opporsi; infatti, nonostante le sue ragionevoli obiezioni, prevale la tutela della vita del nascituro (del resto è allo scopo di mettere al mondo un bambino che i due hanno cominciato le pratiche di riproduzione assistita) nonché la protezione della salute della donna, per la quale, a differenza dell’uomo, queste tecniche comportano un investimento fisico e psichico molto più invasivo e pesante, e quindi fare e disfare entrerebbe in contrasto proprio con quella garanzia di massima cura per il corpo e la mente della ex moglie.

 

 

 


FILIAZIONE
Pertanto, si legge nella sentenza, “altro è la dissolubilità del legame tra i genitori, altro è l’indissolubilità del vincolo di filiazione”. Lasciarsi, separarsi, divorziare è un conto; ma quando si ha dato il via al progetto di avere un bambino muovendo passi concreti, come in questo caso, allora tale progetto non viene intaccato dalla separazione della coppia. Così conclude la Corte, pur riconoscendo che, in qualche modo, si verifica una “compressione” dell’autodeterminazione dell’ex marito; il quale tuttavia deve cedere alle priorità già citate in ordine alla vita del nascituro e alla salute della madre. Del resto, commenta la sentenza, un contesto familiare “eventualmente conflittuale”, come potrebbe essere quello della coppia in questione col loro bambino, non impone una condizione esistenziale così negativa da “far preferire la non vita”. In parole povere, è come se la Corte avesse detto ai due coniugi: ebbene, avete litigato, vi siete separati, ma quanti genitori crescono i figli in un regime di dissidio e lite, ormai? La famiglia del Mulino Bianco, se mai è esistita, è definitivamente polverizzata da tempo, e quindi anche se il padre è riluttante, il frutto di quell’unione potrebbe comunque essere felice.

 

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