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Afa, una delle parole più misteriose del vocabolario italiano: ecco perché

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Massimo Arcangeli
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«E se all’agosto, settembre o ottobre sopraggiunghino caldi e secchi grandi, si deono lasciar passar queste afe, e dopo la prima rinfrescatura di pioggi si vendemmi». Questo passo è contenuto in un testo di agronomia del Cinquecento, un Trattato della coltivazione delle viti, e del frutto che se ne può cavare (Opere, a cura di Alberto Bacchi Della Lega, Bologna, Romagnoli Dall’Acqua, 1902-1907, 4 voll., I, 1902, p. 465), opera del naturalista fiorentino Giovanvittorio Soderini, vissuto fra il 1527 e il 1597.

L’etimologia della parola afa, sbocciata nel Trecento, è fra le più misteriose dell’italiano e ha fatto letteralmente impazzire generazioni di linguisti e di glottologi. Franca Ageno ha fatto derivare il termine dal latino senechiano haphe, debitore del greco aphé (“tocco”, “presa”) per significare, come già lo stesso termine greco, la «polvere gialla di cui si cospargevano i lottatori dopo essersi unti, per potersi afferrare l’un l’altro; il passaggio da “polverio” ad “aria irrespirabile”, “aria calda”, “opprimente”, e per traslato “pesantezza”, “noia”, non è incomprensibile» (Afa, “Lingua nostra”, XX, 1959, p. 22). Più fascinosa l’ipotesi di Mario Alinei, che ha considerato afa una variante osco-umbra del latino ava. La connessione fra le due voci si spiegherebbe col fatto che in varie lingue e parlate europee alcuni vocaboli indicanti l’aria tremolante dal gran caldo prendono il nome di “vecchia”, da intendersi come la figura magica e ancestrale che governerebbe la natura e presiederebbe alle sue leggi.

 

C’è anche chi, con scarsa fortuna, ha pensato alla solita origine onomatopeica, come per tante parole della nostra lingua: da cuculo a bambino, da zuzzurellone a sciabordare, da titubare a tentennare. Quest’ultima discende dal latino tintinnare (“suonare”, “squillare”), il cui doppio tin (tin -tin) suggerisce l’idea di un balbettio, un dondolio, un traballio – giocati, in titubare, fra un ti e un tu (ti-tu) –: quelli dell’incertezza di chi è impacciato nel parlare o, oscillando da una posizione all’altra, dà l’impressione di essere in dubbio su un’azione da compiere, un passo da fare, una strada da prendere.

 

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