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Bologna, "affitti vietati agli stranieri": imbarazzo-Pd

Luca Puccini
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Bologna. La rossa Bologna. La città dell’ospitalità, la roccaforte del Pd, la metropoli del sindaco dem Matteo Lepore che giusto pochi giorni fa (ma di dichiarazioni analoghe ce ne sono a bizzeffe) commentava, sull’arrivo dei migranti: «I numeri sono alti, noi accogliamo, ma il governo deve investire». Come a dire, a prescindere, che Bologna, dove il centrosinistra è di casa, più o meno da denunce legate al mercato immobiliare). Però in termini generali, di scenario, la questione mica è secondaria: si tratta della seconda causa di discriminazione razziale in città, non ha niente a che fare col reddito, la posizione, il ruolo degli aspiranti locatari e, soprattutto, vale un principio. Che spesso, anzi, quasi sempre, chi si vede sbattere la porta in faccia non ne fa una questione di diritto: non si lamenta, non protesta.

 


Cerca un’altra soluzione che, spera, non finisca in quel modo brusco. Invece «ricevo diverse email», ammette il vice-sindaco bolognese, che pure ha la delega alla Casa, Emily Clancy: «E non solo da persone di origine straniera. In questo caso il problema non è legato solo ai costi. Individui con un buono stipendio, con contratti a tempo indeterminato, che magari vivono qui da anni, ma che non riescono ad affittare per via del nome». O forse del cognome che finisce in -isky o in -omanov o che si pronuncia con l’inflessione araba, mediorientale, asiatica. Vai a sapere. Quel che è certo è che, per i non italiani (ma anche per gli italiani che hanno sposato uno straniero) Bologna sta diventando proibitiva. «Una signora italiana», continua Clancy, e lo fa sulle pagine locali di Repubblica, «lamentava addirittura di non trovare casa perché il marito è straniero. Sono tante pure le email inviate all’Urp», ossia all’Ufficio di relazione col pubblico (e non solo quelle otto protocollate dallo sportello Spad).

 


Hai capito, Bologna. Che in piazza critica l’esecutivo, fa manifestazioni (legittime) e proclami (altrettanto legittimi) sulla solidarietà e l’accoglienza e la mano tesa verso il prossimo e poi, nel privato, i suoi appartamentini sfitti, i suoi bilocali vuoti, non li apre a chiunque. Son mica tutti così, i bolognesi. Certo. Però sono in tanti, al punto che «lo Spad svolge un ruolo importante di mediazione tra i proprietari e gli affittuari, cercando di sanzionare le agenzie responsabili di condotte non corrette». Il che significa, in soldoni, che il fenomeno è così diffuso, è parecchio diffuso, che s’è dovuto attivare il Comune, coinvolgendo la Fiaip, al secolo la Federazione italiana degli agenti immobiliari professionali dell’Emilia Romagna, per metterci un argine, una pezza. Quella di un protocollo nazionale (che esiste, eccome) sul contrasto di questi comportamenti, perché non sono civili e manco giusti (e non lo sono, a scanso di equivoci, né a Bologna né a Milano né a Roma né a Sondrio né a Palermo né in qualsiasi altra cittadina di un Paese europeo).


Davide Costantino, che lavora proprio allo Spad di Bologna, aggiunge: «Talvolta gli stranieri non riescono nemmeno a passare il primo step, abbiamo denunce di persone che si sono sentire dire che, dal momento che non parlavano bene italiano, non era possibile neanche prenotare una visita. Il secondo passo è fare incontrare proprietari e aspiranti inquilini: se l’agenzia è tenuta ad avere lo stesso comportamento con tutti i clienti, il locatore ha l’ultima parola. In molti casi ha funzionato e l’appuntamento è servito a far superare i pregiudizi». Anche perché, siamo onesti, un inquilino moroso, che ti devasta il monolocale in centro e non paga le bollette, non è un fatto di passaporto. Ne esistono così tra gli stranieri (indubbiamente) e ne esistono così tra gli italiani (altrettanto indubbiamente). «Il fenomeno è in aumento», chiosa però, con una punta di amarezza, Costantino, «e particolarmente grave è la condizione deineo-maggiorenni di origine straniera in uscita dal sistema di accoglienza». Ecco, appunto: l’accoglienza.

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