Orlandi, colpo di scena: "Somiglianza impressionante", una foto cambia tutto
Quarant’anni di misteri, di indagini, di faldoni che si accavallano e adesso una pista. Forse famigliare. Una pista che i magistrati, sia vaticani che romani, stanno vagliando. E che cambia completamente lo scenario e che era lì, chiusa dentro una corrispondenza segreta, datata settembre 1983, tra l’allora segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli e un prete sudamericano, spedito in Colombia da Giovanni Paolo II.
Il caso di Emanuela Orlandi, scomparsa a Roma in quel maledetto giugno dello stesso anno (cioè del 1983), mai più ritrovata. I servizi segreti, mica solo quelli italiani. Un presunto scandalo sessuale legato alla pedofilia, la banda della Magliana, l’attentato al Papa. È il TgLa7 di Enrico Mentana, ieri sera, a (ri)aprire l’incartamento, a portare alla luce quel messaggio di posta diplomatica tra la Santa sede e Bogotà, a suggerire una nuova visione. Il sacerdote in Colombia, infatti, non è un religioso qualsiasi: è stato, e pure per lungo tempo, il consigliere spirituale, nonché confessore, della famiglia Orlandi.
Per questo, probabilmente, Casaroli gli fa una domanda. Diretta, secca. Gli scrive, più o meno testualmente: «È vero che in passato Natalina, sorella maggiore di Emanuela, ha dichiaro di essere stata molestata sessualmente da suo zio Mario?». La risposta arriva quasi subito: «Sì, è vero», spiega il lungo servizio de La7, «Natalina è stata oggetto di attenzioni morbose da parte dello zio, me lo confidò terrorizzata: le era stato intimato di tacere oppure avrebbe perso il lavoro alla Camera dei deputati dove Meneguzzi (Mario Meneguzzi, lo zio, ndr), che gestiva il bar, l’aveva fatta assumere qualche tempo prima». E allora potrebbe cambiare tutto, potrebbe esserci un’altra chiave in questa vicenda che non torna da quarant’anni. Meneguzzi, lo “zio Mario”, è il marito di Lucia di Orlandi, la zia paterna di Emanuela e di Natalina. Il segretario vaticano Casaroli, mentre si rivolge al prete in Colombia, specifica che la richiesta di conferma su questo elemento arriva addirittura dagli ambienti investigativi di Roma.
Come a dire, per l’opinione pubblica (oggi) questo è un elemento di novità, ma per chi le indagini le ha messe in campo no. Meneguzzi è deceduto e qualche lettera del (letteralmente) secolo scorso, di certo, non può diventare un elemento di accusa nei suoi confronti.
Però apre a una serie di interrogativi che meritano di trovare un riscontro. «Siamo in grado di rivelarvi che Natalina, le insidie subite dallo zio, le mise anche a verbale nell’interrogatorio, mai emerso dagli atti, reso a un magistrato» romano, continuano i giornalisti di Mentana. E poi c’è un identikit, rilasciato da un vigile e da un poliziotto (quindi da due persone estranee alla famiglia Orlandi), che la sera della scomparsa di Emanuela spergiurano di aver visto un uomo, capelli corti, la faccia allungata, il naso stretto, le labbra sottili, che parla con la ragazza la quale è appena uscita dalla scuola di musica che frequenta, vicino al Senato.
Prendi quell’identikit e mettilo vicino a una foto di Meneguzzi: la somiglianza è strabiliante. È lo zio Mario che prende la moto per cercare Emanuela sul lungotevere, quella notte. È lui che, in quei giorni, risponde alle telefonate quando, a casa Orlandi, chiamano i presunti rapitori. È ancora lui che consiglia al cognato Ercole (il padre di Emanuela) di assumere come avvocato di parte Gennaro Egidio e se la cartella del legale è salata pazienza, tanto ci penserà il Sisde, cioè i servizi segreti. Ma perché Meneguzzi parla dei servizi e perché, a un certo punto, mentre sta guidando verso Santa Marinella, viene pedinato dalla Squadra Mobile e, quasi contemporaneamente, viene avvisato di quell’atto? Avvisato da chi? Si dirà che un giovane agente del Sisde, Giulio Gangi, si è innamorato di sua figlia Monica. «Vogliono scaricare le responsabilità sulla famiglia», commenta il fratello di Emanuela.
Una trama ancora da dispiegare dato che «gli inquirenti hanno ripreso in mano tutte le carte della prima inchiesta e stanno mettendo a confronto le dichiarazioni di Natalina con gli interrogatori di testimoni antici e recenti, e con le altre migliaia di atti giudiziari riesumati», chiosa il tg de La7. Da una parte il promotore di giustizia vaticano Diddi (e la gendarmeria della Santa Sede); dall’altro il procuratore romano Lo Voi (e gli agenti dell’Arma dei carabinieri). Per arrivare, finalmente, alla verità.