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Torino, da Pif alla Littizzetto: è il Salone dei rosiconi

Daniele Dell'Orco
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Agli intellettuali di sinistra non è che non vada giù che il Salone del Libro stia “virando a destra”. Ma, molto più semplicemente, che non sia più un monocolore rosso. Del resto, tutti i circoli di potere non bramano altro che maggior potere. Ma i sinistri in cultura ne hanno per anni avuto così tanto, praticamente tutto, che nel più conservatore dei modi sono infastiditi dal fatto che un’epoca stia per finire e che qualche spazietto a chi non la pensa come loro saranno costretti a lasciarglielo. Della serie: su mille editori al Lingotto sparsi lungo 100mila mq di padiglioni, è proprio necessario che ce ne siano addirittura cinque di orientamento diverso? È proprio necessario che su diecimila speaker ne debbano comparire una mezza dozzina “sovversivi”? Lorsignori proprio non l’accettano. Parlano di accoglienza, di costruzione di ponti, di confronto democratico. Ma in realtà lavorano per accogliersi tra loro, costruire ponti che portano da sinistra a sinistra e il concetto di confronto che portano avanti consiste nel tagliare fuori chiunque non sia omologato. Intellettuali, giornalisti ed editori compresi.

 

 

 

CIRCOLO DI POTERE

Da quando Giorgia Meloni è diventata premier, però, qualcosa nel loro granitico circolo di potere s’è rotto. E, irritati dalla comparsa anche in cultura di quello strano demone chiamato “democrazia”, hanno iniziato ad abbaiare alla Luna seduti sulle poltrone di un Salone dal sapore “nostalgico”, il primo in tempi recenti inaugurato da profili come Sangiuliano e La Russa, ma anche l’ultimo diretto da Nicola Lagioia che poi lascerà lo scettro ad Annalena Benini, un profilo già di per sé capace di coprire di ridicolo la valanga di odio politico piovuta contro il centrodestra che vuole “fascistizzare” la cultura. Ma di virgolettati controintuitivi, nella passerella del Salone, ce ne sono già stati vari: «Preparatevi al politicamente corretto. Ormai quando scrivi sai qual è il tariffario delle polemiche che ti travolgeranno», ha detto ai colleghi satiri Luciana Littizzetto, con le valigie in mano per traslocare da Rai a Discovery. Curioso che siano proprio i fondatori del politically correct, come lei, che ora rimpiangono i tempi in cui si “poteva dire tutto”.

Preoccupatissimo anche il fumettista Zerocalcare, uno che esulta quando alle case editrici di destra vengono tolti gli spazi espositivi ma che a Torino dice: «So che per gli intellettuali possono arrivare tempi duri, anche se io per fortuna vendo libri e vivo della benevolenza di chi se li compra. Quello che vuole fare la destra è riprendersi quei posti piazzando la gente che ha in panchina da ottant’anni». Fantastico, ha dunque ammesso che per ben ottant’anni, alla faccia del pluralismo e della coesistenza, le leggi le hanno dettate loro e loro soltanto. I fascisti però, sarebbero quelli al governo: «Si vede dalle scelte che fanno», dice Michela Murgia.

A rendere l’idea di quale debba essere l’unico, sano principio di tolleranza ammissibile e gradito al dittatorial-progressismo culturale ci ha pensato sempre al Salone Erri De Luca, ex militante di Lotta Continua (non nello spirito) e già firmatario di appelli per la scarcerazione del terrorista rosso Cesare Battisti: «Il governo Meloni deve togliersi di mezzo - dice, alla faccia di chi l’ha votato- Se ho detto levarsi di mezzo, non c’è un dopo».

 

 

 

INCLUSIVI

Concetti petalosi, inclusivi e dal sapore di olio di ricino che cozzano con la sua idea di partecipazione democratica: «I ragazzi devono andare a votare dai quattordici anni in poi. E i vecchi come me, invece, non devono andarci: devono smettere di prenotare il futuro degli altri». Ma attenzione: i ragazzi devono votare solo per chi vuole lui e dal Salone sempre lui continuerà a dettargli la linea. Se la prende con la seconda carica dello Stato, invece, l’ex iena Pif: «Ignazio Benito Maria La Russa è diventato presidente del Senato, uno che sminuisce o nega i misfatti del fascismo. Vorrei avere il numero del medico personale di Sergio Mattarella per chiedergli: “Come sta il Presidente, tutto a posto?”». Sarebbe stato divertente sentire le loro reazioni, se ad accusare di rincoglionimento il Presidente della Repubblica per il suo mero esercizio dell’istituto democratico fossero stati gli altri, quelli che accusano di sognare il ritorno del fascismo. 

 

 

 

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