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Tende, crolla la farsa: toh, col weekend spariscono i campeggiatori

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Giovanni Sallusti
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La rivoluzione non è un pranzo di gala, ma può ben sfociare in un apericena propedeutico a un weekend defaticante. È la personalissima reinterpretazione del dettato maoista da parte dei rivoluzionari delle tende (e del piffero), gli studenti per cui il pendolariato da Seregno a Milano, o da Roma Nord a Roma Sud, è bieco sfruttamento padronale. Fino a sabato mattina. Poi, diventa una parentesi da archiviare, ci sono modi migliori di esplorare l’arte del cazzeggio. Essì, ieri gli studenti in rivolta (quasi) permanente per il caro-affitti capitalista e affamatore hanno, letteralmente, smontato le tende fuori da La Sapienza di Roma. La protesta si sposterà sotto gli uffici della Regione, ma, hanno fatto sapere, «solo dopo il weekend». 

Ci mancherebbe. Protestare nel fine settimana sarebbe volgare, e soprattutto ben poco ludico. Darebbe poi l’idea che tutta questa bolla mediatica degli affitti da calmierare in stile socialismo reale e del pendolariato, anche inferiore alla mezz’ora, come nuova forma di schiavismo, sia una cosa seria. Mentre loro, i ragazzi campeggianti, sono i primi a sapere che non è così, a differenza dei giornalisti che, come diceva Pasolini di altri «figli di papà» nel ‘68, leccano loro le terga (il poeta usò un’espressione più prosaica, ed era un grande poeta per quello).

 

GLI IMBARAZZI
Avranno riso anche loro, delle conduttrici con attico vista Pantheon che si sono fatte impiantare una tenda nello studio televisivo per mimare la solidarietà più farlocca che ci sia, delle passeggiate a cavallo dell’ipocrisia da parte di politici che hanno governato fino a ieri senza minimamente avvedersi di quella che oggi brandiscono come emergenza sociale suprema contro il governo, delle prime pagine che li hanno raccontati come eredi delle lotte continue degli anni Settanta.

Macché, loro sono millennial, l’unità di misura è il selfie, il travaso in un clic su Instagram, al massimo la ripresa del mattino dopo sul Corriere della Sera, che papi è contento. E quindi via, la decina di tende di Sinistra Universitaria e Cambiare Rotta (l’unica cosa che si trascina dagli anni Settanta è il linguaggio) sono durate cinque-giorni-cinque.

Gli studenti si sono dichiarati «soddisfatti», ma a mezza voce, perché lo sblocco di 660 milioni per gli alloggi universitari previsti dal Pnrr porta la firma del governo Meloni, hanno smontato l’accampamento in felice coincidenza con i primi fuochi della movida romana e annunciato che le iniziative riprenderanno martedì 16 (il lunedì serve per recuperare, come sa qualunque buon contestatore part-time), appunto davanti alla Regione.

 

Nel frattempo, sono filtrate alcune delle richieste che hanno presentato al ministro dell’Università Annamaria Bernini, prima di avviare il ponte lungo della protesta (sono assai scissi dal lavoro, ma in compenso potrebbero già essere ottimi sindacalisti). Tra queste, «l’apertura di un tavolo di confronto permanente tra le organizzazioni studentesche, il ministero dell’Università, quello dei Trasporti e la Conferenza delle Regioni» (l’ennesimo Politburo, immaginiamo con cadenza semestrale e soprattutto mai il venerdì) e «ristabilire un equo canone degli affitti, fissando un tetto massimo» (essì che sono universitari, al liceo dovrebbero aver letto la folgorante stroncatura del Manzoni al tetto dei prezzi imposto anche a beni di prima necessità come il pane, l’opera si chiama Promessi Sposi). Ma sono dettagli, non facciamo ai campeggiatori il torto di attribuire loro una piattaforma politica, è sabato, dove ci troviamo per il primo giro di spritz?

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