Lo striscione recante, in puro anglo-romanesco, “Zelensky not welcome”, è comunque meno schifoso rispetto a quello che il collaborazionismo pacifista avrebbe dedicato al macellaio russo se la storia fosse andata diversamente: e cioè se l’aggressore avesse potuto raccontare non solo a casa sua, ma anche qui da noi, di essere stato costretto a intervenire per denazificare il governo di omosessuali e drogati asservito alle mire espansionistiche dell’Occidente plutocratico.
Cina-Vaticano, la profezia di Kissinger sulla fine della guerra in Ucraina
«Con la Cina che è entrata nel negoziato penso che se ne verrà a capo entro la fine dell’anno&...Dietro quello slogan, che passa per indesiderabile il presidente ucraino, c’è il più vero sentimento del pacifismo, quello che difende le ragioni della pace accusando chi resiste alla guerra e non chi l’ha cominciata e la continua: ed è un sentimento di irrefrenabile simpatia verso chi, aggredendo l’Ucraina, aggredisce ovunque esse palpitino le aspirazioni di libertà e democrazia che il pacifismo odia più di quanto ami sé stesso. È un ripiego, quello striscione. Grida una verità ammezzata: nega il benvenuto al resistente ucraino mentre si duole di non poter dare il benvenuto alla belva russa.
