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Vino, design e moda: perché dobbiamo puntare sui nostri campioni

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Bruno Villois
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Due grandi comparti italiani, quello dell’enologia e quello del design e arredo, ciascuno dei quali contribuisce alla formazione del Pil con ben oltre 50 miliardi di euro, hanno dato prova di vitalità con il Vinitaly a Verona e il salone del Mobile a Milano, il cui successo in termini di visitatori e di affari è stato strepitoso. A tal proposito vale la pena di soffermarsi su come dovrebbe orientarsi la politica industriale e commerciale del nostro Paese, ovvero di mettere al centro i comparti vincenti e ridimensionare i perdenti. Fra i primi, oltre ai due citati, è bene aggiungere quelli della moda, del packaging, della meccanica di precisione, dell’agroalimentare: tutti settori che rivestono una straordinaria importanza per lo sviluppo socio economico del paese e che incidono, per ben oltre la metà per l’export.

 

 

 

Siamo da decenni alla ricerca della stabilizzazione del sistema produttivo e alla salvaguardia dei posti di lavoro, di come invogliare i giovani a frequentare l’istruzione tecnica e trovare occupazionie, svolgendo mansioni che siano compatibili con la formazione effettuata e le aspirazioni di vita. Tutte sacrosante ambizioni che non riusciamo a raggiungere per una molteplicità di motivi, tra i quali spicca l’indecisionismo della politica, tutta, che si associa ad un sistema imprenditoriale in ritardo per investimenti e modernizzazione, il quale sovente punta, a braccetto con la politica, a salvaguardare, comunque sia, l’insalvabile portandolo così a morte certa e altrettanto certa crescita della disoccupazione. In questo scenario il governo e la sua maggioranza dovrebbero progettare una politica industriale e commerciale che contempli i comparti su cui contare, il modello di istruzione e i criteri di aggiornamento permanente perla forza lavoro, le aree geografiche su cui attivare una politica di forte sostegno per le imprese che lì inviano parte rilevante delle loro produzioni. Ma puntare anche sull’attrattività per insediamenti di imprese estere, ottenendone anche il posizionamento di head quarters, in modo che parte rilevante delle decisioni vengano assunte sul nostro suolo. Infine che venga sostenuta la capitalizzazione delle imprese italiane con una politica fiscale che ne favorisca il conferimento di capitale da parte di soci o azionisti.

 

 

 

Tutti i capisaldi citati andrebbero approfonditi e definiti con le associazioni datoriali che ne rappresentano i singoli settori/comparti, trovando anche il concorso dei sindacati dei lavoratori, in modo da renderli non solo e sempre critici ma anche proattivi per costruire un disegno Paese in grado di continuare a dare un futuro certo alla manifattura ,al commercio e all’agricoltura italiana.

 

 

 

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