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Barbara Capovani, l'eroismo di chi lavora col male

Renato Farina
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La dottoressa Barbara Capovani, psichiatra del servizio pubblico, è morta assassinata dopo tre giorni di agonia. L’abbiamo accompagnata da lontano oltre la soglia in tanti. Se ne stava nella terra di nessuno, anzi di Qualcuno, su quel crinale altissimo e silenzioso che tutti noi abbiamo immaginato per un nostro caro quando i medici comunicano: prognosi riservatissima, situazione critica. C’erano il marito e i tre figli a vegliarla dentro e fuori la stanza dov’era in coma la vita della loro vita: sono entrati anche loro con lei in quel territorio misterioso, cercando con l’affetto di trascinarla lontano dall’abisso. Gli è scivolata tra le mani. Ieri notte alle 23 e 40 i colleghi medici hanno dichiarato la morte cerebrale. I colleghi e gli amici hanno ripiegato lo striscione: “Forza Barbara, ti aspettiamo”, con tanti cuori rossi. Che importa se Barbara non poteva leggere. Doveva essere letto lassù. La dottoressa Capovani era stata aggredita alle spalle con brutalità spaventosa venerdì alle 18 e 30, davanti all’ospedale Santa Chiara di Pisa, trenta metri fuori dal reparto per la salute mentale di cui la professionista è – era! - direttrice.

 

 

L'AGGUATO
Lo sciagurato ha infierito, con violenza inaudita, con una spranga. Si era appostato lì, vestito macabramente di nero, con un cappello nero per coprire il viso, e la maschera anticovid per non farsi identificare. Stava lì, vicino alla bicicletta con il lucchetto antifurto. La sua psichiatra aveva finito il proprio turno di lavoro. Via, balzare sul sellino, e a casa. Ma prima, accidenti, bisogna infilare la chiave per liberare il cavallino. Si è piegata. E l’assassino si è avventato con furia devastante. L’ha lasciata esanime, ed è scappato. Le telecamere di sicurezza (sicurezza?) hanno consentito l’individuazione (corporatura, altezza, forma del viso) e quindi indirizzato la squadra mobile alla dimora del presunto omicida, a Torre del Lago, vicino a Viareggio, dove si era asserragliato.

 

 


Le indagini hanno seguito un percorso ovvio: il colpevole doveva essere un suo paziente. Lo dice un po’ il senso comune (gli psichiatri si occupano di teste portate a sconnettersi e dunque talvolta pericolose), ma se non bastasse sono gli studi e le statistiche a disegnare il perimetro dei sospetti. Secondo studi condotti da Ilana Nossel e David Lowenthal della Columbia University, la professione di psichiatra è quella che comporta un rischio cinque volte più elevato di subire «atti violenti non letali» rispetto a qualsiasi altra, «più di un terzo degli psichiatri dichiara di essere stato aggredito almeno una volta». Fatto sta che si è spulciato l’archivio di chi è stato curato in quel reparto. Così la polizia ha arrestato alle quattro del mattino di domenica il presunto colpevole, un suo paziente di 35 anni, Gianluca Paul Seung.

 

I COMPLOTTI...
Dal suo profilo Facebook saltano fuori frasi di questo genere: «Sono uno sciamano, mediatore fra invisibile e visibile; collego le dimensioni». Ci sono complotti orditi da entità multinazionali. Ed egli doveva fare qualcosa per difendere sé stesso e il mondo. E se l’è presa con chi lo aveva in cura amorevole, il lupo vestito d’agnello, si è realizzato il famoso transfer di odio. Il fatto è che questo materializzarsi delle sue fole mentali contro Barbara è stato un po’ come lo spuntare di un fungo nel bosco: non bisogna simulare stupore. C’è un procedimento penale pendente per un’aggressione avvenuta in tribunale a Lucca a febbraio 2022, quando aggredì una guardia con uno spray al peperoncino. Ma ce n’è altri «per reati di indole violenta», anche per reati sessuali ed evasione dai domiciliari.


Due sono le riflessioni. La prima è immediatamente irosa. Non si poteva prevenire questo agguato? Perché un mestiere così pericoloso non è tutelato come si deve? Mettono le guardie giurate fuori dalle banche e dai caveau, non era forse Barbara un tesoro molto più prezioso di un pacco di banconote? Si scopre da “Headway 2023 - Mental Health Index” presentato alla “The European House Ambrosetti e Angelini Pharma”, che «in riferimento alle risorse economiche, servizi e strutture sanitarie e servizi sociali e assistenziali per i pazienti affetti da disturbi mentali. L’Italia risulta uno degli ultimi Paesi europei, sopra solo a Estonia e Bulgaria: nel nostro Paese solo il 3,5% delle risorse viene destinato alla salute mentale, rispetto alla Germania (11,3%), Svezia (10%) e Regno Unito (9,5%)» (Il Sole, 7 ottobre 2021). La seconda riflessione è questa. Ci sono persone che sono come fluorescenti, in esse è acceso un misterioso fuoco. Accettano una quota di rischio grande per il bene della comunità, per noi. Non le conosce nessuno. Ci sono. E questo conforta. L’umanità fa schifo, in generale. Ma poi c’è Barbara, e gente come lei. Dovremmo impedire che facciano loro del male. Invece.


TRASPARENZA
Ho cercato una premonizione nelle fotografie di Barbara, un’ombra segreta, qualcosa nello sguardo che fosse annuncio di pericolo, bisogno di difesa, paura. Invece niente. Solo luce, trasparenza, purezza. Nelle immagini recenti appare nel suo camice azzurro, in tutte sorride e basta, diffonde serenità con gli occhi, i capelli botticelliani sono come scossi dalla passione amorosa per il suo mestiere, si percepisce affetto, dato e ricevuto dai suoi cari, i colleghi, i malati, l’universo. Una che vuole bene ai suoi malati, una che li irrora di fiducia per farli star meglio, guarirli è difficile, curarli sì, assolutamente sì, avere cura, non abbandonarli. Siamo stati noi ad avere abbandonato lei. La sua testimonianza possa fiorire. 

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