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Covid, il report che inchioda Speranza: l'ex ministro che dice?

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Antonio Rapisarda
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E per fortuna che «ogni deroga aumenterà casi, malati e morti» (cit. l’ex consulente sanitario dell’ex ministro della Sanità Roberto Speranza, cioè Walter Ricciardi, correva l’anno: fine ottobre 2022). Mica è successo. Lo dicono i numeri e, se c’è una cosa che ci hanno insegnato i tre anni di pandemia, è proprio che la matematica è l’altra faccia della scienza, quella che non si può smentire. Ecco, appunto: i numeri.Usiamo quelli che sono oggettivi. L’ultimo bollettino del ministero della Salute, rilasciato venerdì scorso, il 10 febbraio, parla chiaro: dal 3 al 9 febbraio del 2023 si sono registrati 30.911 nuovi casi di Covid-19 e i morti sono stati 279. Ancora tanti, chi lo nega, ché ce li saremmo risparmiati volentieri uno a uno, se fosse stato possibile. Ma un anno fa quanti se ne contavano? Sor Ricciardi, glielo diciamo noi che siamo andati a spulciare i dati giornalieri di quel periodo: erano di più. Molti di più. Circa venti volte di più. Nel senso che, sommando i report dal 3 al 9 febbraio del 2022 (allora non c’era un computo complessivo settimanale, tutte le statistiche erano quotidiane), le infezioni ufficiali toccavano quota 606.877, i decessi 2.576. E ai tempi la mascherina Ffp2 ce l’avevamo tutti sul naso quando andavamo a fare la spesa, quando prendevamo il tram, quando eravamo in fila alle Poste. Vaglielo a spiegare, oggi, ai gufi di ieri, che pure se la prendevano quando qualcuno glielo faceva notare: non-fasciamoci-la-testa-prima-del-tempo.

 

 


VERSO LA NORMALITÀ
È che è cambiato il mondo, in questi mesi. È cambiato il governo (tanto per cominciare), è andato in pensione lo stato di emergenza (che ha resistito fino al 31 marzo passato), siamo tornati alla normalità. Vivaiddio, la normalità. Quella che ha riaperto bar e ristoranti, piste da sci e piscine. Quella che ha tolto il distanziamento, il numero contingentato nella tavola calda giù all’angolo della strada. Quella che ha riportato gli eventi in presenza, ha sfoltito lo smart-working, ci ha riconsentito di girare per strada. Alla faccia degli oltranzisti dell’«errore gravissimo» (sempre copyright Ricciardi, sempre fine ottobre 2022) se si trattava di far ripartire il ripartibile (compreso di medici no-vax reintegrati in sevizio).
No, non è stata una catastrofe. Anzi. L’8 febbraio del 2022 i contagi erano 108.864; adesso sono 30mila ogni sette dì (quindi, ipotizziamo circa 4.500 al giorno). Vogliamo fare il raffronto? I morti, ancora l’8 febbraio del 2022, erano purtroppo 415; ora sono quasi quaranta.


Nessuno sta dicendo che il Covid sia scomparso, che non sia più un problema, che possiamo considerarci un popolo di sopravvissuti. Anche perché non è così: semmai siamo un popolo che è stato attento. Che si è vaccinato in massa (il 91,61% degli italiani con più di dodici anni il braccio, per almeno una somministrazione, ce l’ha messo), che non ha preso la questione sottogamba. C’è la copertura vaccinale e c’è anche il fatto che il coronavirus è diverso da quello originario di Wuhan, gira di più ma colpisce di meno. Ossia è meno aggressivo. Va bene tutto, teniamo in considerazione ogni aspetto: però, alla fine, il risultato è che lungi dall’essere le Caporetto epidemiologiche del secolo, le riaperture e l’allentamento delle misure di contenimento sono andate nella giusta direzione. Quella di una ripresa che, anche solo un annetto fa, ci sembrava fantascienza. E poi, a voler essere pignoli, i dati sui quali concentrarsi non sono nemmeno quelli dei tamponi, dei contagi e dei decessi. Sono quelli della congestione ospedaliera perché è lì che si gioca (o si è giocata) la partita.

 

 


GLI OSPEDALI
La prima linea, le terapie intensive, i reparti ordinari Covid che, dal 2020 in avanti sono sbucati come funghi in ogni nosocomio del Paese (e questo da solo dà il livello di quanto il virus ci abbia scombussolato l’esistenza). Allora: la media dei ricoveri nella prima settimana di febbraio del 2022 si è aggirata intorno ai 18.768 (un numero preciso non è calcolabile perché ogni paziente ha una storia clinica a sé e i tempi della terapia non sono uguali per tutti), oggi, stando ai dati riportati dalla Fondazione Gimbe che riportano, a loro volta, quelli del ministero della Salute, è di 3.459. Signori, stiamo parlando di cinque volte di meno. Vuol dire che le nostre corsie sono cinque volte meno piene di persone che si son buscate il Covid. Lo stesso vale per le terapie intensive (nel 2022 avevano 1.412 persone da seguire, oggi “appena”, si fa per dire, 163). È tutto lì, da vedere. Tra l’altro c’è solamente un settore che, oramai, è in crescita: quello dei dimessi e dei guariti. Tocca ricordarlo, adesso, agli uccelli del malaugurio che avevano predetto l’Apocalisse. 

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