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Basso Lazio come il Messico: gang e violenze, ecco la mappa

Daniele Dell'Orco
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Dopo la tragica notte del 26 marzo 2017, quando Emanuele Morganti venne massacrato di botte dal branco a soli 21 anni fuori da una discoteca, il comune di Alatri, 30mila anime nel cuore della Ciociaria, si svegliò sotto shock. Nessuno era in grado di spiegarsi come un dramma così efferato si potesse consumare in un paesino così pacifico. Le cause, purtroppo, furono molteplici, principalmente legate a un progressivo e silenzioso degrado sociale che aveva giorno dopo giorno permesso alla microcriminalità locale di guadagnare terreno e stringere legami con la malavita di più alto cabotaggio che agisce a Frosinone, il capoluogo. Partendo da lì, nel quadrante nord della provincia, infiltrazioni camorristiche, gruppi dell’est Europa e famiglie di etnia rom hanno creato tra loro un equilibrio sottile per gestire i traffici illeciti.

Nelle diramazioni più locali, individuano i “piccoli” e gli affidano delle piazze. Questi, forti di una sorta di delirio di onnipotenza, fanno branco, spadroneggiano e appesantiscono il clima tranquillo in cui si vivono famiglie, anziani e giovani. Qualsiasi scintilla diventa una lesa maestà. Anche a scapito di profili estranei a queste logiche come lo fu il povero Emanuele o, una quarantina di chilometri più a nord, a Colleferro (appena ricompreso nella provincia di Roma), Willy Monteiro Duarte, ucciso di botte in circostanze simili nel settembre 2020. Ma come sarebbe potuto accadere altre decine di volte in comuni del Basso Lazio.

 

 


IN PREDA ALLA PAURA
Ad Alatri, dopo quell’”inaspettato” dramma, il centro storico cittadino rimase per anni preda della paura, svuotato di vita sociale e intrappolato in un regime di controllo da parte delle forze dell’ordine che i residenti hanno iniziato a vivere con ansia, ma i piccoli criminali no. Quando degli spazi rimangono vuoti, infatti, vengono riempiti dal degrado. Nei mesi post-pandemici Alatri ha sentito viva la voglia di rinascita. Forse, però, non era ancora pronta a rivivere l’ordine naturale delle cose. Il centro storico si è arricchito di nuove attività, sono ripresi gli eventi, il paese si è vestito a festa. Ma nell’ombra dei vicoli qualcosa di sinistro si muoveva da tempo. La scaletta sotto il cosiddetto “Girone”, a quattro passi dalla piazza principale della città e dalla piazzetta dove perse la vita Morganti, è storicamente poco illuminata. Un gruppetto di ragazzini tra i 14 e i 20 anni l’ha scelta come punto di ritrovo. Ragazzi a posto, vivaci com’è tipico della loro età, ma non certo criminali, come Thomas.

 

 


In mezzo a loro però, qualcuno che vive più ai margini, immigrato di seconda generazione mai pienamente integrato, è più scalmanato degli altri. Spesso l’estro lo porta a muoversi ai limiti della legalità e anche oltre. Un altro gruppo, di coetanei locali, non apprezza. E nel centro storico, quando si incontrano, vola qualche parola di troppo e scattano le risse. Sabato e domenica scorsi Alatri ne ha vissute ben due. Una più violenta dell’altra. Il sindaco Maurizio Cianfrocca ha allertato le forze dell’ordine.


SPIRALE DI VIOLENZA
Ma la spirale della violenza era già innescata. Tra i confronti con mazze e tirapugni uno dei “capetti” viene appeso da un balcone e umiliato. Non la prende bene. Dietro di sé avrebbe qualche amico più potente e più violento. Per rimettere in riga i ribelli e pareggiare l’affronto partono non già dei sicari, ma dei vendicatori, incaricati di mettere in scena un’azione eclatante che prevede l’uso di armi. In sella ad un T-Max si presentano in due, di sera, e sfrecciano nel parcheggio sotto il “Girone” che una volta era un campo da calcio e poi da basket. Il simbolo della ricreazione. Dal basso, a una ventina di metri di distanza, sopra verso il gruppetto che si ritrova sulle scalette. Con quale intenzione lo stabiliranno le perizie. I colpi sono di certo sparati ad altezza d’uomo per provare a colpire chissà qualcuno in particolare o chissà uno qualunque.

Quel ragazzo qualunque era Thomas. Un adolescente che dalle testimonianze rilasciate da alcuni amici a Libero non avrebbe nessun conto in sospeso. Semplicemente, fa parte di un gruppo d’amici in cui qualcuno talvolta esagera. Spesso esagera. E nella ritorsione, la peggio l’ha avuta lui. Ora Alatri è ripiombata nell’incubo. Ma col passare delle ore dovrà dimostrare a se stessa e a tutta Italia che non è certo Sinaloa. Dovrà tornare a vivere, a controllare meglio i suoi figli e a far sì che i padri si assumano più responsabilità. A tutti i livelli. Senza lasciare però spazi vuoti per via del terrore. Perché verrebbero riempiti da altro degrado, altro sangue e altro dolore.

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