Ratzinger, il segnale dal cielo durante i funerali: una foto sconvolgente
La nebbia a Roma è come il sole a Milano: si vede di rado. Ma in questi giorni, alle prime ore del mattino e poi al calar della sera, i romani, con una certa meraviglia (non troppa, sono pur sempre romani) assistono all'insolito, per loro, fenomeno atmosferico. Banchi di nebbia che offuscano le strade, le piazze e conferiscono alla città un che di gotico che contrasta con lo stile prevalente delle sue architetture.
Anche ieri, a piazza San Pietro, dove una nutrita folla di fedeli si è ritrovata per le esequie di papa Benedetto XVI, la nebbia inghiottiva il maestoso spazio cinto dal colonnato del Bernini. Era come se un soprannaturale regista avesse preparato la luce, l'effetto, l'atmosfera più indicati alla solenne occasione: il funerale di un papa, mentre regnante ce n'è un altro. E non un papa qualunque, come sappiamo bene, perché Ratzinger è stato davvero, nella storia del pontificato, uno dei personaggi più enigmatici.
Ed ecco allora che quella bruma così fitta da fare invidia al "Viandante sul mare di nebbia", il quadro di Caspar David Friedrich (un tedesco come Ratzinger) simbolo del romanticismo più puro, sembra la manifestazione fisica di uno stato d'animo serpeggiante tra i fedeli - circa 50mila- convenuti a San Pietro, e il suggello più acconcio non solo al pontificato di Benedetto XVI, ma a tutta la vita terrena di Joseph Ratzinger.
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RAGIONI INDISTINTE
I segreti nell'elezione di un papa sono scontati, meno scontato, anzi assolutamente epocale (anche se è un fatto non privo di precedenti, come noto) è che un papa rinunci al suo ufficio, soprattutto nel frangente in cui l'ha fatto Benedetto. Alzi la mano chi può dire con assoluta certezza di averne compreso le ragioni. Queste ragioni sono, appunto, come una folla nella nebbia: numerose, indistinte; una può essere scambiata per un'altra, tutte si complicano in modo tale che l'annuncio clamoroso dell'abdicazione, in latino, che sconcertò il popolo cristiano quell'11 febbraio 2013, al confronto sembra un documento cristallino.
Certo, le dimissioni furono universalmente ritenute una sorta di grido di dolore in un momento di profonda crisi per la Chiesa, un gesto di estrema prostrazione non solo per l'avanzata età, ma anche per le sempre più numerose accuse di pedofilia all'interno del clero cattolico che avrebbero lambito anche il fratello maggiore del papa, Georg Ratzinger, direttore del prestigioso coro maschile del Duomo di Ratisbona: secondo un rapporto della diocesi locale, almeno 547 bambini e adolescenti avrebbero subito abusi.
Benedetto XVI ha chiesto perdono per ogni sua mancanza nel controllare, prevenire, denunciare le violenze, ha espresso «vergogna e dolore», ma non si può dire francamente che tutto sia chiaro, che la nebbia sullo spinoso tema della condotta sessuale dei sacerdoti si sia completamente diradata. Né la limpidezza è stata la cifra dei suoi rapporti con il suo successore, Francesco.
LA TENSIONE
Di là dai pubblici attestati di stima, soltanto due giorni fa il segretario di Ratzinger, padre Georg, ha dichiarato che il contrasto alla messa in latino da parte di Francesco, avrebbe spezzato il cuore di Benedetto XVI. La tensione, per dirla semplicemente, tra i due papi, quello conservatore e quello progressista, il teologo mistico e l'uomo dai modi semplici e vicino alla gente, non si è mai scatenata apertamente, è sempre stata nascosta, attutita, sfumata. Anche a questo riguardo una fitta foschia ha impedito di vedere la nuda verità. La basilica di San Pietro inghiottita dalla nebbia è una rappresentazione smaccata della confusione, delle incertezze, dei segreti, delle mezze verità, delle confessioni a denti stretti che hanno accompagnato il pontificato di Ratzinger fino al suo ultimo sospiro. A cominciare dalla contraddizione fondamentale: chiamato al soglio di Pietro con la missione di restaurare l'autorevolezza di una Chiesa sempre più fragile, sempre più mondana, sempre più cedevole, Ratzinger ha finito per incarnare lui stesso quella debolezza umana che era stato chiamato a debellare.
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