Papa Ratzinger, l'ultima misteriosa missione di preghiera: cosa c'è dietro
«È un santo. È un uomo di alta vita spirituale. Lo visito spesso e vengo edificato dal suo sguardo trasparente. Vive in contemplazione... Ammiro la sua lucidità. È un grande uomo». Così due settimane fa, prima del peggioramento della salute del Papa emerito, Francesco, in una intervista, parlava del predecessore. In effetti il temperamento mite e la bontà di Joseph Ratzinger facevano pensare a quell'«infanzia evangelica» che caratterizza tanti santi. Come pure l'umiltà che lo ha indotto addirittura alla rinuncia del 2013. Ma il suo amore per la verità - cercata, compresa e difesa con straordinaria intelligenza fino alla fine ha fatto di lui - come dice papa Bergoglio - anche «un grande uomo», stimato dal mondo laico. I 95 annidi Joseph Ratzinger contengono molte vite ed è impossibile, in un articolo, spiegarne il valore. Per ognuna di esse servirebbe un libro.
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"PRIMA VITA" DA TEOLOGO
Nella "prima vita" è stato un teologo: già nel 1957, a soli 30 anni, è docente all'università di Monaco e subito dopo a Frisinga, quindi, nel 1959, all'Università di Bonn. Poi, dal 1962, partecipa al Concilio Vaticano II come consulente teologico del cardinale Frings e in seguito come perito del Concilio. Un'esperienza eccezionale in cui le sue qualità - pur avendo solo 35 anni- si resero evidenti e il suo nome cominciò a spiccare fra i teologi del Concilio. Infatti nel 1966 gli viene affidata la cattedra di teologia dogmatica all'università di Tubinga e due anni dopo pubblica il libro che gli dà notorietà in ambito ecclesiastico, "Introduzione al cristianesimo". Un libro innovativo e ortodosso, cioè sempre dentro la strada aperta dal Concilio. Come la rivista teologica Communio che fonda nel 1972 con Hans Urs von Balthasar ed Henri de Lubac.
Un'"altra vita" di Ratzinger inizia nel 1977, quando Paolo VI lo nomina arcivescovo di Monaco di Baviera e lo fa cardinale. Nel 1981 Giovanni Paolo II lo chiama a Roma, alla guida della Congregazione perla dottrina della fede, e diviene il pilastro più importante del pontificato del Papa polacco. Ratzinger dette il meglio di sé a sostegno della missione di Papa Wojtyla. Fu una stagione eccezionale perla Chiesa. Fra i due, che si stimavano immensamente, fiorì quella mirabile amicizia che spesso vediamo fra i Santi. Wojtyla infatti lo volle sempre al suo fianco. Fino alla fine. Dopo la morte del Papa polacco - nel Conclave del 2005 - Ratzinger fu riconosciuto dai cardinali come l'erede ideale di Giovanni Paolo e fu eletto Papa. Il suo pontificato durò otto anni, fino alla rinuncia del 2013. Da quel momento, come "Papa emerito" (questo il titolo che scelse per l'ultima parte della sua missione), si ritirò nel Monastero Mater Ecclesiae, in pratica un eremo all'interno delle mura vati cane.
È - dicevo - impossibile tracciare, con un articolo, il profilo di una personalità così profonda, complessa e importante. Ma la "stagione" meno studiata e meno capita - che merita qui una piccola riflessione- è stata l'ultima. L'ha descritta bene Papa Francesco, quando, alla fine dell'udienza di mercoledì 28 dicembre, ha chiesto di pregare per lui: «Vorrei chiedere a tutti voi una preghiera speciale, per il Papa emerito Benedetto, che nel silenzio sta sostenendo la Chiesa. Chiedo di ricordarlo - è molto ammalato - chiedendo al Signore che lo consoli, e lo sostenga in questa testimonianza di amore alla Chiesa, fino alla fine». Non sono parole di circostanza. Affermare che Benedetto XVI «nel silenzio sta sostenendo la Chiesa» e chiedere che il «Signore lo consoli e lo sostenga in questa testimonianza di amore alla Chiesa, fino alla fine» significa che Francesco conferma ciò che il Papa emerito dichiarò di dover (e voler) fare al momento della sua rinuncia, cioè compiere una missione di preghiera e di offerta per la Chiesa. Nell'udienza del 27 febbraio 2013, quella in cui spiegò le ragioni della sua decisione, Ratzinger disse: «Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell'officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di San Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all'opera di Dio».
La mentalità mondana - tutta incentrata sul fare dell'uomo - non capisce l'importanza fondamentale di una "missione" di questo genere, ma la comprende bene chi sa che la Chiesa non è solo una realtà umana, tenuta in vita dai credenti, ma è sorretta, vivificata e guidata dallo Spirito Santo: per questo il cuore vero della Chiesa è la preghiera che spalanca le porte alla sua azione. In quel discorso del febbraio 2013 Benedetto XVI infatti disse: «ho sempre saputo che in quella barca c'è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce». Se così non fosse - del resto - la Chiesa, in questi duemila anni, sarebbe già stata spazzata via tante volte, come è accaduto a imperi (apparentemente) ben più forti e potenti.
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UNA SERENITÀ LUMINOSA
Questa pacificante certezza - che accomuna Benedetto XVI e Papa Francesco, ma anche tutti i cattolici - permette di comprendere l'animo sereno di Ratzinger sia nel momento della "rinuncia", sia nei dieci annidi vita eremitica e di preghiera. È questa serenità luminosa che traspariva dal suo volto e dalle sue parole nei rari incontri che ha fatto in questi anni o nelle pochissime interviste che ha concesso. Con la preghiera e l'offerta di sé Ratzinger ha continuato a restare fedele al suo motto episcopale e papale, «Collaboratori della verità», consapevole che l'uomo può solo collaborare umilmente all'Opera di Dio. Non è chiesto a lui di salvare il mondo o la Chiesa, perché l'unico Salvatore è Gesù Cristo. Considerando la sua gracilità e le sue condizioni di salute al momento della "rinuncia", nessuno poteva immaginare che Benedetto XVI sarebbe diventato il Papa più longevo della storia (finora il primato apparteneva a Leone XIII che visse 93 anni). A molti cattolici è sembrata una vera, grande grazia.
Evidentemente doveva compiere una missione, la più invisibile e la più importante, quella della preghiera in un tempo drammatico per la pace e a sostegno della Chiesa e di Papa Francesco. Il quale, nella celebrazione di sabato scorso, ha detto: «parlando della gentilezza, in questo momento, il pensiero va spontaneamente al carissimo Papa emerito Benedetto XVI, che questa mattina ci ha lasciato. Con commozione ricordiamo la sua persona così nobile, così gentile. E sentiamo nel cuore tanta gratitudine: gratitudine a Dio per averlo donato alla Chiesa e al mondo; gratitudine a lui, per tutto il bene che ha compiuto, e soprattutto per la sua testimonianza di fede e di preghiera, specialmente in questi ultimi annidi vita ritirata. Solo Dio conosce il valore e la forza della sua intercessione, dei suoi sacrifici offerti per il bene della Chiesa». L'ultima frase è particolarmente importante e significativa.
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