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Pio XII, bucata la censura del Vaticano: tutta la verità su Pontefice e nazismo

Claudio Siniscalchi
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La storia spesso somiglia ad un ottovolante. Si muove per sobbalzi. Prendiamo Pio XII, papa Eugenio Pacelli, salito al soglio di Pietro nel marzo 1939 e deceduto quasi vent' anni dopo, nell'ottobre del 1958. Finito il secondo conflitto bellico, Pio XII è il Pastor Angelicus, il difensore dei perseguitati. Nel disastro della guerra si è adoperato per soccorrere la sofferenza, di ogni tipo. Pochi anni dopo, nel 1963, finisce nella più ignobile delle gogne. Gli viene rimproverato il «silenzio» sulla persecuzione degli ebrei d'Europa. Sapeva e non è stato in grado (o non ha voluto) trovare il coraggio di parlare. A far deflagrare la polemica è una messa in scena teatrale, Il Vicario, del tedesco Rolf Hochhuth. Il Pastor Angelicus viene sbattuto senza troppi riguardi sul banco degli imputati. L'accusa non lascia scampo: con cinica determinazione non ha fatto nulla per evitare l'Olocausto. La condanna non ammette appello: connivente con i persecutori. Addirittura, qualcuno spinge la polemica al più alto livello: il «papa di Hitler».

Tutto ha inizio con l'adozione in Italia delle «leggi razziali» nel 1938. Nelle ricostruzioni sul ruolo assunto dalla Santa Sede nei confronti del crescente antisemitismo, destinato in breve tempo a imboccare la strada della «soluzione finale della questione ebraica», con ricorrente frequenza ci si imbatte in una netta distinzione tra il pontificato di Pio XI (ostile) e quello di Pio XII (conciliante). Si tratta però della semplificazione di una questione estremamente complessa.

 

 

 

IL PREDECESSORE

Pio XI (Achille Ratti) aveva giudicato con severità l'approvazione in Italia delle «leggi razziali». Tra la fine del 1936 e la morte (avvenuta il 10 febbraio 1939) aveva radicalizzato la condanna per gli aspetti anticristiani del nazionalsocialismo, assumendo una posizione sempre più intransigente, il cui punto di arrivo doveva concretizzarsi nella pubblicazione di un'enciclica - la Humani generis unitas - di esplicita condanna del razzismo e dell'antisemitismo. Ciò avrebbe comportato un acuirsi delle frizioni, già pesanti, con la Germania di Hitler, e, avendo adottato una legislazione razziale, anche con l'Italia di Mussolini. Il suo successore, Pio XII, eredita l'enciclica in un clima politico diverso, segnato dai forti venti di guerra, che scoppierà nel settembre 1939, a pochi mesi dalla sua elezione. In un contesto ormai mutato, decide di non pubblicarla. Gli interpreti più faziosi giurano sull'antisemitismo di Pacelli.

Ma ci sono anche i faziosi di segno opposto. Un vero antisemita, Louis-Ferdinand Céline, in La scuola dei cadaveri (1939) scarica contro Pio XI (e Pacelli) il suo livore: «Niente di più ebreo dell'attuale papa. Del suo vero nome Isaac Ratisch. Il Vaticano è un Ghetto. Il Segretario di Stato Pacelli, altrettanto Ebreo quanto il papa. La Chiesa, la nostra vecchia strega giudea». Quanti non si sono lasciati prendere la mano dal partito preso, non hanno potuto che riconoscere come Pio XII sia stato costretto, spinto dalla drammaticità degli eventi, a non aumentare il peso delle contrapposizioni con Mussolini e, soprattutto, Hitler, cercando attraverso i canali della diplomazia di attenuare, nei limiti del possibile, le gravose discriminazioni, le persecuzioni e lo sterminio.

 

 

 

IL CONFRONTO

Nel 2020 gli archivi vaticani hanno messo a disposizione la documentazione dell'epoca. Andrea Riccardi ha potuto così completare alcuni suoi precedenti studi, dando alle stampe un saggio di notevole valore storiografico: La guerra del silenzio. Pio XII, il nazismo, gli ebrei (Laterza, pagine 384, euro 25). Si tratta - è bene affermarlo senza girarci intorno - di un'opera di grande rilievo interpretativo, di respiro internazionale. È la summa riassuntiva del lavoro di una vita dedicata alla ricerca. Lo studio di Riccardi si impone per l'equilibrio, non essendo animato da spirito di parte. Lo storico non vuole giudicare ma comprendere. Le carte consultate mostrano in maniera inequivocabile che il Vaticano era a conoscenza della tragedia che si stava verificando. L'epicentro della svolta verso la «soluzione finale» era la Polonia. E da lì arrivavano notizie drammatiche, per certi versi sconvolgenti. Come comportarsi? Questo è il dilemma pontificio. Lo studio di Riccardi mette in luce la complessità della situazione.

Il «silenzio» non è una scelta dettata da debolezza o accondiscendenza. La Chiesa non è un organismo nazionale, ma sovranazionale. Ciò rende ancora più difficili le posizioni da assumere. Pio XII soppesò i pro e i contro della sua azione. Non lo fece da solo, come troppo spesso gli è stato polemicamente rimproverato. Si confrontò con un gruppo di fidati collaboratori, decidendo con loro di non gettare altra benzina sul fuoco. La Chiesa di Olanda, ad esempio, volle prendere una strada diversa. Condannò le persecuzioni degli ebrei nel paese occupato dai nazionalsocialisti. E quest'ultimi le persecuzioni le aumentarono. Chiunque oggi affronta l'argomento - gli anni dal 1939 al 1945 - conosce il finale della storia. Pio XII non lo conosceva. Non si doveva solo preoccupare dell'immediato. Cosa ne sarebbe stato del cattolicesimo in Germania e in Austria se Hitler avesse ottenuto una vittoria, anche molto parziale, o se si fosse tornati, arrivando ad una pace che molti volevano, allo status quo del 1939? La prudenza fu una grande virtù, non una debolezza. Lo studio di Riccardi pone una pietra tombale alle polemiche del «silenzio». Il suo lavoro mostra come lo storico dovrebbe lavorare. Senza pregiudizi. Avendo rispetto per il lettore, facilitato da una scrittura scorrevole. E con tensione civile, poiché narrando la storia di un pontificato è ben consapevole di ricostruire una porzione di tempo drammatica. Non della Chiesa, ma dell'umanità intera. 

 

 

 

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