Giorgia Meloni? Se gli studenti occupano contro la democrazia
Di solito gli studenti occupano le scuole e protestano, con molto coraggio personale, nei Paesi in cui mancano i più elementari diritti e non c'è libertà di opinione. Solo in quel "mondo capovolto" che è l'Italia di oggi può invece succedere che si occupi un liceo importante di Milano come il Manzoni per protestare contro il risultato emerso dalle urne in un voto liberamente espresso da cittadini di un Paese democratico. Sicuramente all'età giovanile è legata una certa dose di ignoranza e arroganza, che poi con gli anni si smussa in una conquistata maturità. Ma in questo caso lo stridore fra ardori giovanili e principio di realtà è tanto forte che non ci si può chiedere se non ci sia qualcosa di più.
Questo quid non è difficile individuarlo, a cominciare da una riflessione su come l'istituzione scolastica sia andata evolvendosi negli ultimi decenni. Un tempo i licei italiani non avevano da invidiare nulla a quelli di nessun'altro Paese del mondo: il fine che si proponevano era un'istruzione di base ampia, soprattutto classica, impartita con criteri tanto rigorosi da sfociare spesso nella severità. A garanzia di tutto c'era il professore, una figura che aveva un ruolo sociale ben individuato e perfettamente integrantesi con quello dei genitori. Scuola e famiglia erano perciò i perni di quel sistema, che fu rapidamente scardinato dal Sessantotto. Due furono i fenomeni che cooperarono a quella dissoluzione: da una parte la critica radicale al "principio di autorità" di genitori e docenti; dall'altra, l'avvento di una cultura vagamente aziendalistica che riponeva il fine della scuola non nell'istruzione classica ma nella creazione di determinate competenze (skills) utilizzabili à la carte nel modo del lavoro. Con l'istruzione, cambiava così anche l'educazione: non si trattava di formare personalità e caratteri, ma tecnici ed esperti con qualche cognizione di "etica applicata". Quali siano queste cognizioni lo stabilisce ancora oggi il pensiero mainstream, dominato in lungo e in largo dalla cultura progressista.
L'educazione civica si è così trasformata che non si ripromette di educare ai valori base del vivere civile, ma a quelli presunti che emergono da tematiche à la page quali i diritti, il gender, la sostenibilità, ecc. In questo brodo di coltura, la soluzione a problemi malamente impostati viene giudicata moralmente più del rispetto che si deve a chi la pensa diversamente da noi. Invece di confrontarsi e dialogare con l'avversario, si preferisce demolirlo moralmente. Certo, poi la realtà imporrà dei compromessi, ma un giovane, nell'idealità che è propria della sua età, li vivrà e giudicherà come cedimenti. In poche parole, se io insegnante ed io genitore dico strumentalmente, o faccio capire, che Giorgia Meloni e alleati sono "fascisti", come posso poi meravigliarmi che un giovane mi prenda tanto sul serio da ritenere illegittima una loro vittoria elettorale? Non è vero che viviamo in un mondo senza maestri, il fatto è che sono i "cattivi maestri" della sinistra a soggiogare le nostre coscienze, e soprattutto quelle dei più giovani. Quello che più di ogni altra cosa preoccupa è che quel valore positivo che è proprio da sempre della gioventù, cioè la ribellione all'esistente, non entrando più in una sana dialettica con il potere costituito dei grandi, generi solo un nuovo conformismo. Convinti di essere ribelli e solo loro veramente antifascisti, certi giovani non si accorgono di andare nella stessa direzione di chi ha il potere sulle loro coscienze e soprattutto di essere loro i veri fascisti. Tanto intolleranti da voler cancellare con un tratto di penna il libero voto degli italiani.