Treccani? No, "Treccagne": roba da matti, ecco il dizionario... della Boldrini
E un'altra battaglia fondamentale perla civiltà occidentale è stata vinta. No, non parliamo della controffensiva ucraina, quella è realtà, mentre il terreno di caccia preferito delle nostre avanguardie intellettuali, com' è noto, è l'ideologia. In particolare, quella sua ultima forma ipocrita e petalosa che si chiama Politicamente Corretto. Poteva il nuovo Dizionario Treccani della (neo)lingua italiana sottrarsi alla moda? La risposta è insita nella domanda, ed ecco a voi il primo vocabolario inclusivo, sessualmente paritario, nemico del dannato patriarcato tipico del dannatissimo maschio bianco. E in cosa consiste l'operazione riparatrice, sobriamente annunciata dagli autori come una "rivoluzione"? Anzitutto, come spiegava ieri Repubblica in trance arcobaleno (fate i bravi, abbiamo scritto trance, non trans), nell'addio alla retriva "prevalenza del maschile". Un "lavoro enorme" mirato a "scardinare l'androcentrismo dei dizionari": nomi e aggettivi non vengono infatti più lemmatizzati, ovvero registrati, in base alla forma maschile, come da ultrasecolare prassi dell'umanità primitiva, fascio-androcentrica. Per cui le nuove leve grammaticalmente corrette troveranno "amica" invece di "amico", "bella" invece di "bello", "gatta" invece di "gatto", insomma la salvifica desinenza rosa in luogo di quella fallocentrica che ci vergogniamo persino a nominare.
SPECCHIO DEL MONDO Non essendo all'altezza del tema, prendiamo a prestito dal sito della Treccani: tale opera "è lo specchio del mondo che cambia e il frutto della necessità di validare e dare dignità a una nuova visione della società, che passa inevitabilmente attraverso un nuovo e diverso utilizzo delle parole".
Non nascondono nemmeno il furore ideologico dietro finti tecnicismi, questo va riconosciuto, sono espliciti: si tratta di costruire una "nuova società" attraverso un "nuovo utilizzo delle parole", di farla finita con l'archeo-lingua, direbbe Orwell. Pura teleologia marxista, con un'unica, decisiva differenza: il fine ultimo non è più l'uguaglianza del collettivismo, ma la diversità del femminismo. Non a caso l'altra, epocale riforma dell'imprescindibile dizionario è, citiamo sempre da Repubblica, l'introduzione di "forme femminili di lavori da sempre declinati al maschile". Per cui è tutto un florilegio di "notaia", "avvocata", "chirurga", "soldata", "architetta", "ingegnera", con gran sprezzo della cacofonia incombente e del rispetto per quelle migliaia di avvocati, chirurghi, notai, soldati di sesso femminile che stimano il proprio valore e la propria professionalità superiori a un cambio di vocale.
È il trionfo conclamato del boldrinese istituzionalizzato in italiano corretto, corrente e vidimato Treccani. Il cui zelo orwelliano non si ferma qui: la nuova edizione dichiara anche lotta dura agli "stereotipi di genere", ovvero gli esempi spesso utilizzati per spiegare la definizione dei termini.
Molti infatti erano legati a inaccettabili schemi machisti in bilico sull'istigazione al femminicidio, come "la mamma è in cucina, il papà è al lavoro". Per incentivare un più decoroso ribaltamento dei ruoli (immaginari, il pregiudizio come sempre sta nell'occhio di chi guarda), il neovocabolario mette in risalto voci come "casalingo" e "ricamatore": qui il maschile diventa improvvisamente importante, in quanto evidentemente lo si presume addomesticato e para-femminile ("la donna non è più un sesso, è un ideale" scriveva Éric Zemmour).
CAPOLAVORO Ma il capolavoro definitivo degli autori Valeria della Valle (prima donna direttrice del Dizionario, a chi la chiamasse direttore ovviamente sarebbe ritirata la licenza elementare) e Giuseppe Patota è un altro. Trattasi dell'abolizione della parola "uomo" per indicare il platonico animale bipede implume, insomma chiunque appartenga al genere umano. Un chiaro residuo androcentrico, da sostituire con "persona" (che ha pure il pregio di essere un sostantivo femminile) o "essere umano". Poi ci sarà da mettere d'accordo il dizionario femminista col dizionario etimologico, secondo cui "uomo" deriva dal latino "homo" che significa anche e anzitutto creatura umana (almeno al momento in cui questo giornale va in stampa, ma non escludiamo che qualche zelante psicopoliziotto della Treccani abbia nel frattempo provveduto), ma non fossilizziamoci sui dettagli, anche la rivoluzione linguistica soggiace al dogma leninista di tutte le rivoluzioni: non si può fare una frittata senza rompere delle uova. L'importante è conservare il senso dell'umorismo, di cui è abbondantemente fornita la professoressa Della Valle, almeno stando alle sue parole riportate da FanPage: «Il nostro non è un dizionario con una presa di posizione ideologica intransigente e astratta». Assolutamente, è semplicemente la Treccani che diventa Treccagne. Sipario.