Putiniani d'Italia, ecco i documenti che mancano: chi ha passato le carte al Corriere?
Il caso non è risolto. Perché il sottosegretario Franco Gabrielli ha chiesto (e ottenuto) dal Dis la desecretazione di un solo bollettino sulla "disinformazione" nel conflitto russo-ucraino. Ce ne sono quattro. Gli altri tre restano riservati. E questo spiegherebbe perché la conta dei filo-putiniani non torna. Nel "hybrid bulletin" declassificato - una sorta di rassegna stampa ragionata sui canali che diffondono "fake news" contro Nato, Ucraina, Usa e pro Cremlino - sono menzionati cinque soggetti. Negli articoli del Corriere che ha fatto esplodere il caso delle "liste di proscrizione" si citavano anche altri nominativi. Che, evidentemente, sono presenti nelle diverse edizioni del resoconto, quelle che sono ancora classificate come riservate. Ma parimenti sfuggite alla regola della riservatezza. Esempio: all'appello mancano freelance, influencer e studiosi come Manlio Dinucci, Maurizio Vezzosi, Alessandro Orsini, Laura Ruggeri, Maria Dubovikova. E lo stesso Vito Petrocelli, ex presidente della Commissione Esteri del Senato, noto per le sue simpatie moscovite.
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Ora: Gabrielli ha giurato che nessuno di questi soggetti, men che meno quelli che siedono in Parlamento, è stato obiettivo di indagini da parte dell'intelligence. E, in effetti, dalla lettura del bollettino desecretato viene fuori l'attività di reportistica realizzata dal Dis, in collaborazione con i servizi interni, esterni e la Farnesina. Nient' altro. Resta il fatto che la vicenda ha imbarazzato Mario Draghi. E la circostanza che Gabrielli abbia voluto scegliere la trasparenza, ma desecretando solo una parte del materiale veicolato, non aiuta a chiudere il caso. Il sottosegretario con delega ai Servizi è furente per la fuga di notizie. E non ha fatto nulla per dissimulare il disappunto durante la conferenza stampa di venerdì. Il bollettino sulla "disinformazione" è la sintesi del lavoro di un tavolo al quale partecipano, tra gli altri, Servizi, Presidenza del Consiglio, Esteri, Difesa, Interno, Agcom. Poi, una volta redatto, il resoconto viene spedito al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir). Insomma passa di mano in mano. Troppo. Tant' è che, se da un lato Gabrielli annuncia che la fuga di notizie non resterà impunita, dall'altro, per il futuro, si potrebbe interrompere la prassi del tavolo allargato. Per evitare la tentazione che qualcuno faccia circolare altro materiale riservato, mettendo in ambasce il governo. Con il premier che si ritrova additato come quello che vuole reprimere il dissenso, compilando liste di eretici da mettere all'indice.
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Draghi ha già i suoi problemi nel tenere unita la maggioranza sulla politica estera. La coalizione è alla ricerca di un compromesso sulla risoluzione da presentare in vista delle comunicazioni del capo del governo che precederanno il Consiglio europeo del 23 e 24 giugno. 5 Stelle e Lega chiedono uno stop all'invio di armi a Kiev e premono affinché vi sia una richiesta di ripresa del negoziato. E questo è il fuoco amico. Il fuoco nemico è contenuto nell'"Hybrid bulletin". Dove si dà conto della narrativa veicolata dalla propaganda russa per colpire Draghi, «ritenuto responsabile - con la linea adottata dal suo governo - dell'aumento dei prezzi di generi alimentari ed energetici, della chiusura di aziende, nonché di avere colpito il popolo italiano con misure sanitarie inutili e di trascinare il Paese in guerra». Il caso comunque non finisce qui. «C'è un problema di serietà e di trasparenza che deve essere affrontato dal Parlamento nel suo complesso», dichiara il senatore azzurro Maurizio Gasparri, «Chi ha sbagliato deve pagare». La verità non la sapremo mai, dice Massimo Cacciari, filosofo finito in vari elenchi di non-allineati: «Mi piacerebbe sapere se questa farsa l'abbia commissionata il governo, se sia frutto di qualche scriteriato all'interno dei Servizi, chi l'abbia trasmessa ai giornali. Ma figuriamoci se lo sapremo mai».
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