Martina Franca, il bunker anti-atomico. "Nome in codice Fionda": in caso di attacco nucleare all'Italia...
Parlare di bunker anti-atomici in Italia, oggi, è inquietante ma non più anacronistico. La guerra in Ucraina ha riacceso i timori di un'Apocalisse nucleare e il nostro Paese rischia di finire nuovamente in prima linea come "fronte" nel conflitto muscolare tra la Russia di Vladimir Putin e la Nato. Un conflitto da combattere essenzialmente in Europa, e le nazioni che potrebbero diventare bersaglio dei missili con testate nucleari russi, dalle basi di Kaliningrad, sono essenzialmente quattro: Germania, Gran Bretagna, Francia e appunto Italia.
La Gazzetta del Mezzogiorno ha fatto entrare le sue videocamere in uno dei pochi bunker anti-atomici italiani in Puglia, a Martina Franca nel cuore del bosco delle Pianelle. Area off limits creata negli Anni 50, in piena Guerra Fredda, per ospitare il Terzo Roc (Regional Operative Command) dell'Areonautica Militare, attivo fino al 1998. Di fatto, uno dei cervelli dell'Areonautica italiana, che aveva il compito di monitorare i cieli 24 ore su 24 e di cui si doveva garantire l'operatività anche in condizioni estreme come quella successiva a un attacco nucleare, per decenni eventualità remota ma sempre considerata possibile se non addirittura imminente in momenti di gravi crisi internazionali.
Con la caduta del Muro prima e dell'Unione Sovietica, molti auspicavano che fosse "finita la storia", perlomeno quella della minaccia bellica nel cuore dell'Europa. Oggi, purtroppo, abbiamo capito che l'illusione è finita.
E così entrare in quelle stanze blindate, scavate a 50 metri di profondità sotto le colline della Murgia, sembra quasi una cupa premonizione di quello che ci attende. In quelle sale a prova di bomba (e di fungo) sono ancora visibili i computer e i monitor della gigantesca consolle che permettevano ai militari di seguire in tempo reale i radar piazzati lungo le coste italiane. Oggi quelle funzioni sono passate al aereo al centro di Poggio Renatico, in Emilia Romagna. Ma vedere sugli schemi i nomi in codice dei radar italiani fa scorrere un brivido lungo la schiena.