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Uccise un'italiana con un ombrello nell'occhio. Ora la romena avrà pure il "regalo" dallo Stato

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Spetterà allo Stato risarcire i familiari di Vanessa Russo, la ventiduenne ragazza romana uccisa agli inizi del 2007 in una stazione della metropolitana della Capitale.
L'omicidio ebbe all'epoca grande risonanza mediatica per la particolare efferatezza con cui venne commesso. La giovane, infatti, al termine di un banale litigio con Doina Matei, una rumena di qualche anno più grande ed in Italia senza permesso di soggiorno, era stata colpita all'occhio da quest' ultima con la punta di un ombrello che arrivò a sfondargli la calotta cranica.
Le condizioni di Vanessa apparvero subito disperate e la giovane morì dopo una breve agonia. Doina, che si era inizialmente data alla fuga, venne rintracciata ed arrestata qualche giorno dopo presso l'abitazione di un suo connazionale nelle Marche.

 


L'accusa di omicidio volontario fu subito derubricata in quella di omicidio preterintenzionale aggravato e la rumena chiese ed ottenne di essere processata con il giudizio abbreviato, una rito che gli permise di avere un forte sconto di pena. In primo grado, a fine del 2007, Doina venne condannata a soli 16 anni di carcere, scontati poco più di dieci, e al risarcimento del danno in favore dei familiari di Vanessa.
La sentenza di primo grado fu confermata integralmente dalla Corte d'Appello nel 2008 e diventò definitiva due anni più tardi, dopo il rigetto del ricorso che Doina aveva presentato in Cassazione.

 

 


Nel 2012, i familiari di Vanessa decisero allora di rivolgersi al tribunale di Perugia, competente per territorio in quanto Doina nel frattempo stava scontando la pena presso il carcere di quella città, per ottenere il risarcimento del danno. E a distanza di due anni, nel 2014, arrivò la sentenza del tribunale del capoluogo umbro che condannava Doina a versare 260.000 euro al padre di Vanessa, 300.000 alla madre, 100.000 al fratello e 100.000 alla sorella. Somme non riscosse in quanto Doina, con due figli in Romania, risultava essere nullatenente.
I familiari di Vanessa, però, non si scoraggiarono e decisero di citare lo Stato italiano, in persona della Presidenza del Consiglio dei ministri, per ottenere il risarcimento dei danni che non avevano potuto ottenere in mancanza di una legge a tutela delle vittime dei reati violenti. La direttiva europea numero 80 del 2004 sull'indennizzo delle vittime aveva obbligato lo Stato Italiano a dotarsi di una normativa idonea a indennizzare le vittime di reati violenti in casi fossero commessi da soggetti nullatenenti.
Dal momento che lo Stato faceva orecchie da mercante, i Russo presentarono un nuovo ricorso per l'ottemperanza, questa volta al tribunale di Roma, ottenendo la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento del risarcimento del danno, proprio nella misura liquidata dal tribunale di Perugia, 760.000 euro complessivi.
La Presidenza del Consiglio, attraverso l'Avvocatura dello Stato, a sua volta proponeva ricorso contro questa pronuncia, sostenendo tra l'altro che la Repubblica Italiana avrebbe congruamente recepito la direttiva europea attraverso l'emanazione di un ddl che istituiva un adeguato sistema di indennizzo in relazione ai reati violenti commessi nel proprio territorio da soggetti nullatenenti.
La palla passava quindi alla Corte d'Appello di Roma che rinviava il giudizio in attesa della risposta della Corte di Giustizia Europea. La Grande Sezione della Corte di Lussemburgo si pronunciava nel 2020, sostenendo che la Repubblica Italiana avesse indebitamente limitato gli indennizzi previsti per le vittime di reati violenti a cifre irrisorie e meramente simboliche. Aquel punto, la Corte d'Appello di Roma non poteva che confermare nei mesi scorsi la decisione del tribunale. Ad assistere in questo estenuante ping-pong giudiziario durato 15 anni la famiglia Russo è stato lo studio legale Spina di Perugia.

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