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Ucraina, jet in Romania e soldati in Lettonia: così l'Italia si prepara alla guerra

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Paola Natali
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Una circolare interna dello Stato Maggiore dell'Esercito (Sme), destinata solo alle unità dipendenti è diventata invece di dominio pubblico, creando non poche preoccupazioni e timori da parte di civili che hanno letto il suo contenuto. Lo Stato maggiore ha immediatamente sottolineato che tale circolare rientra nelle prerogative, previste dalla normativa vigente, di ciascun capo di Stato Maggiore di Forza Armata, ovvero essere responsabile dell'addestramento e dell'efficienza delle forze. E hanno evidenziato che disposizioni similari vengono diramate periodicamente per indirizzare le unità in approntamento per qualsiasi tipo di missione all'estero, incluse quelle di pace, per operazioni sul territorio nazionale, nonché in situazioni emergenziali quali il Covid19.

 

 

 

L'IMPIEGO

Un documento, anche se non classificato, che comunque doveva stare all'interno e circolare in ambito ristretto. Quindi, a che scopo diffonderlo? Ideologicamente e costituzionalmente l'Italia ripudia la guerra, il concetto resta, in chiave offensiva. Nel sentire comune l'idea di imbracciare le armi è sempre un qualcosa che si tende a classificare come lontano da noi e di non positivo, ma l'esercito è nato essenzialmente per combattere. Vediamo i nostri militari impiegati in diversi frangenti: strade sicure, aiuto alla protezione civile, interventi nelle varie emergenze come ad esempio durante il covid o l'utilizzo del genio pontieri. Spostiamo così le nostre risorse a svolgere compiti differenti rispetto a quelli per il quali sono stati creati, ovvero esercitarsi nell'essere pronti a combattere oltre ad essere di supporto nei casi di calamità. Abbiamo forse due eserciti? Uno di "massa" che andrebbe rimodernato e che, soprattutto, non viene attrezzato e preparato al suo scopo ma ad altre attività come strade sicure, Covid, emergenza terremoti e un esercito più "specializzato" e di élite che ha assetti "pregiati".

 

 

 

LE MISSIONI

In caso di schieramento Nato, saremmo sicuramente in grado di fornire assetti pregiati e logistica di buon livello ma sulla parte dell'esercito di "massa" ovvero quella parte di militari meno specializzati sul warfighting (addestramento al combattimento)? Attualmente l'Italia fa parte di due missioni Nato che si trovano ai confini est dell'alleanza in Lettonia (enhanced Forward Presence) con l'impiego del numero massimo di 250 unità di personale e 139 mezzi terrestri ed in Romania con funzione di controllo dello spazio aereo dell'alleanza attraverso attività di Air Policing, che prevede l'impiego del numero massimo di 130 unità di personale e di 12 mezzi aerei. Attualmente 8 Eurofighter sono dislocati in Romania per lo svolgimento di attività di pattugliamento aereo nell'ambito delle misure di rassicurazione degli alleati nel fianco est. Il contributo italiano si completa con la presenza nel Mediterraneo di una fregata e di un cacciamine inseriti nell'ambito delle Forze navali permanenti della Nato. Secondo alcune analisi, la preoccupazione non è tanto sul fronte Est ma su quello Sud, anche se oggi ha una minore rilevanza. In più, a questo punto, non si può non analizzare il rapporto tra Putin ed il mondo islamico. Ecco cosa ne pensa Nicola Pedde, Direttore dell'Institute for Global Studies: «Il mondo islamico è molto variegato, non c'è uniformità e la Russia ha avuto una capacità di inserirsi nei momenti di crisi, basta vedere la situazione in Siria, in Libia oppure nella Repubblica Centrafricana dove è riuscita ad inserirsi e dove le crisi permetteva spazi di manovra. La Cina invece preferisce rapporti di lungo periodo sulla cooperazione economica». Come valuta dunque la capacità militare delle nostre truppe? «Efficienti nella loro capacità di proiezione, siamo all'interno della Nato e la dimensione di rischio è condivisa» spiega Pedde. «Gli strumenti militari italiani sono tra i più avanzati anche se c'è stata una generale riduzione di uomini che da 300mila unità sono stati razionalizzati. Le missioni estere hanno portato ad uno sviluppo di una buona capacità operativa come ad esempio in Somalia ed in Afghanistan». 

 

 

 

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