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Ucraina, "attacco hacker alla centrale nucleare: basta una tastiera per farla saltare in aria". L'allarme dell'esperto informatico

Alessandro Gonzato
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«Oggi basta premere un bottone a migliaia di chilometri di distanza per far esplodere una centrale nucleare: non servono più le bombe, è sufficiente una tastiera».

I sistemi di sicurezza sono così bassi?

«Ovviamente il livello varia a seconda del Paese, ma il rischio di una bomba atomica cibernetica c'è. Le faccio un esempio...».

Prego.

«Una decina d'anni fa, in Iran, all'interno dei sistemi di sicurezza delle centrali nucleari erano stati immessi dei malware, diciamo dei programmi che permettevano di controllarle, spegnerle, rallentarle, metterle fuori uso. La tecnologia ormai comanda il mondo. Attraverso la tecnologia si può fare qualsiasi cosa». Parliamo con Remo Marini, responsabile della Sicurezza del Gruppo Assicurazioni Generali, una lunga esperienza nel mondo della cyber security all'interno di gruppi bancari come UniCredit e nella Polizia Postale, presidente di F3RM1 Foundation.

Qual è l'atomica del terzo millennio?

«Ce ne sono diverse: blackout nazionali, paralisi dei trasporti, blocco totale delle transazioni economiche, interruzioni delle forniture di materie prime».

Quali sono le nazioni tecnologicamente più avanzate?

«La Russia è certamente tra le prime, forse addirittura la prima in certi contesti. Le altre sono Cina e Usa».

 

 

 

Come si sono mossi, finora, i russi?

«La mossa più importante è stata quella di mettere fuori uso gran parte dei sistemi di comunicazione ucraini il giorno prima dell'attacco».

A che livello è la sicurezza informatica europea rispetto alle tre super potenze?

«Medievale, salvo rare eccellenze, e mi riferisco ad alcune multinazionali. Il problema, parlando della Russia, è che ci sono gruppi di hacker filogovernativi che hanno delle skills, delle abilità, che difficilmente possiamo contrastare. Hanno a disposizione informazioni di vulnerabilità dei sistemi che noi non conosciamo. Investono quantità enormi di denaro in formazione. Sarebbe una guerra impari».

In cielo i nuovi pericoli sono i droni...

«Sono in grado di trasportare pesi compatibili con ordigni ad alto impatto. I più sviluppati, in quest' ambito, sono gli americani: oggila maggior parte dell'offensiva statunitense è basata sui droni, che hanno lo scopo di limitare al massimo l'esposizione umana. Ci sono perfino aerei auto-pilotati: in questo caso però si parla di tecnologia autogestita».

Quindi potenzialmente aerei kamikaze.

«Assolutamente. Comunque ci tengo a sottolineare una cosa...».

Dica.

«Non è che la guerra cibernetica sia scoppiata oggi con la crisi russo-ucraina: va avanti da anni e si è intensificata notevolmente già mesi fa».

In che modo?

«Pensi banalmente al phishing, agli attacchi agli home banking: si protraggono da più di un decennio, erano le prime campagne per recuperare soldi da investire in attività illecite».

 

Anche in attività belliche?

«Non direttamente. Però sul rifinanziamento di attività cyber illecite sì, certamente».

Qual è oggi il pericolo informatico maggiore per l'Italia?

«Le piccole e medie imprese non avrebbero la minima possibilità di difendersi. Da un momento all'altro si ritroverebbero coi sistemi e i macchinari bloccati. Non potrebbero più lavorare».

Dunque siamo disarmati...

«Il governo deve investire miliardi nel settore. Ormai non c'è alternativa».

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