Covid, cosa accadeva in Italia lo scorso anno con dati peggiori: lo scandalo che il governo deve spiegare
Forse ci stiamo facendo prendere un po' troppo dal panico. D'accordo: dopo due annidi pandemia, che il Coronavirus non sia un'influenza da prendere sotto gamba l'abbiamo capito. E nessuno lo mette in dubbio. Però qui stiamo pure perdendo la trebisonda. Esempio numero uno, nei piccoli comportamenti quotidiani: con due starnuti corriamo in farmacia a fare un tampone e, se ci dà, esito negativo, lo ritestiamo dieci minuti dopo, ché non si sa mai. Esempio numero due, questa volta nell'approccio collettivo all'emergenza: siamo tra gli ultimi a cancellare i divieti, a disfarci del Green pass (che infatti non s' è disfato per niente) e abbiamo impiegato quasi un mese solo per eliminare l'obbligo di mascherine all'aperto.
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EUROPA LIBERATA
Mentre mezza Europa sforbicia sulle misure anti-contagio perché il Covid sta battendo la ritirata, noi no. Noi rimettiamo sul tavolo il vaccino senza condizione per tutti over-50. Intendiamoci, sennò si finisce per essere fraintesi: qui a Libero sospetti sul fatto che quelle (sante) punturine salva pelle siano state la principale arma per uscire dall'incubo non ce ne sono mai stati. L'abbiamo scritto in tutte le salse. Però adesso stiamo tornando alla normalità, e lo stiamo facendo per davvero. La campagna delle inoculazioni da un lato (l'88,87% degli italiani con più di dodici anni ha completato il ciclo con due dosi, è una delle percentuali più alta del mondo occidentale) e la variante Omicron che ha fatto il resto: contagiosa sì, virulenta no. Eppure questa voglia di riaprire sembra non voler far capolino. Ce l'avevamo, eccome se ce l'avevamo nel 2020: quando il primo lockdown e la quarantena di massa ci han tappati in casa per mesi, con i negozi chiusi e i ristoranti che non si erano ancora organizzati con l'asporto. Una vita fa. Ce l'avevamo anche l'anno scorso, dopo l'ennesimo inizio della scuola in dad, del lavoro in smart-working e dell'esistenza scandita da quel sistema a semaforo delle regioni (gialle, rosse e arancioni) che ci siamo trascinati fino a ora. Non ce l'abbiamo, paradossalmente, proprio adesso, quando le condizioni sono migliori per tutto quel che ci siamo già detti. Proviamo a dare i numeri, quelli veri. Prendiamo il dato più tragico di tutto il dramma da Sars-cov-2, quelle statistiche delle morti che, complessivamente, da nord a sud, dall'inizio a oggi, sono circa 152mila. Una cifra da pelle d'oca.
CURVA STABILIZZATA
Nel tempo la curva si è stabilizzata. Oggi viaggiamo attorno ai trecento morti al giorno (e va da sé che il metodo di calcolo solleva più di un'incertezza e infatti qualcuno ha chiesto a più riprese di rivederlo, ma quello è un altro discorso), un dato che non si discosta molto rispetto a quello degli ultimi mesi. Poi ci sono i ricoverati in terapia intensiva. Il primo maggio del 2020 (quanto stavamo uscendo dal primo confinamento) erano 1.578; il primo maggio del 2021 (quando stavamo uscendo dal secondo lockdown) erano 2.522, oggi sono 987. Circa la metà. Non stiamo dicendo che ci sarebbe da festeggiare perchè 987 persone intubate a causa del coronavirus sono e restano 987 in più del necessario, tuttavia potremmo iniziare a vedere il bicchiere mezzo pieno. I pazienti ricoverati nei reparti covid ordinari, altro giro: nel 2020 in questo periodo erano circa 17mila; nel 2021 erano 18mila e adesso 13mila. Allora, cioè in passati, che la crisi fosse finita, ce lo siamo ripetuti più per farci coraggio a vicenda che credendoci veramente. Invece adesso, che gli strumenti ce li abbiamo, che siamo tra i più immunizzati del pianeta, che dovremmo guardare avanti con un pizzico di ottimismo, rimaniamo incollati a quel che è stato. Non vogliamo fare gli incoscienti né esser tacciati d'esser irresponsabili: però se l'obiettivo è quello di levarcelo sul serio, 'sto cribbio di coronavirus dalle scatole, tocca darsi una mossa e ripensare un tantinello a cosa stiamo facendo. Che qui a continuare con le misure restrittive non si va da nessuna parte.