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Covid, niente ristori per i medici morti per il virus. Rivolta negli ospedali: dimissioni di massa?

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Claudia Osmetti
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E dire che erano i nostri eroi. Neanche due anni fa li applaudivamo per strada, stampavamo i loro volti sui manifesti, li guardavamo nelle riviste. Con quelle facce stanche e gli occhi esausti, il volto sempre tirato dietro alla mascherina che noi, invece, cercavamo e non trovavamo. Anestesisti, chirurghi, dottori di medicina generale. Erano (lo sono a tutt' oggi) in prima linea. Lì, nelle terapie intensive e nei reparti covid, quelli improvvisati del 2020 e quelli di adesso, strutturati e organizzati a puntino. Due anni, una vita fa. Sono 369 i medici morti di coronavirus dall'inizio della pandemia: e nel 2022, quando finalmente sembra che ci stiamo lasciando il peggio alle spalle, Omicron da una parte e i vaccini dall'altra, non riusciamo a riconoscere alle loro famiglie dei ristori adeguanti. Anzi, non riusciamo a riconoscere loro dei ristori punto e basta. Zero, niente. La cassa piange, non ci sono soldi, provate al prossimo giro. Ne saremmo usciti migliori, pensa te. In questi giorni il Senato doveva approvare un emendamento con cui, appunto, sarebbe stato creato un fondo economico per i parenti dei camici bianchi che questo maledetto virus ci ha portato via. Non era solo un atto dovuto, era pure un atto simbolico. Voleva dire riconoscere quel contributo, sofferto, tribolato. Fondamentale. Non è stato possibile.

 

 

 

 

«Mancano le risorse», racconta Filippo Anelli, presidente della Fnmoceo, al secolo la Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri italiani. Ha la voce abbattuta, Anelli. Si rende conto benissimo (così come ce ne rendiamo conto tutti) che non è una questione di volontà, ma di mero portafoglio. Qui aumenta tutto: dalla luce al gas alle spesa del super. Trovare il denaro non è affatto semplice, per qualunque cosa. «Però lascia l'amaro in bocca», dice lui, «e forse il fatto che sia solo un aspetto economico fa ancora più male. Era importante, era un gesto di gratitudine verso una categoria che ha dato tutto, ma veramente tutto, per fronteggiare questa emergenza». Non c'è bisogno di aggiungere che ha ragione da vendere. L'unico spiraglio è che la partita non è persa per sempre. «Quello che è successo in pratica», continua Anelli, «è che la commissione Bilancio di Palazzo Madama ha bocciato questo emendamento, di fatto trasformandolo in un ordine del giorno che impegna il governo a trovare le risorse che oggi mancano». È già qualcosa, ma serviva di più. «Purtroppo non ci sono neanche le tempistiche. Non sappiamo quando questo avverrà. Spetta ai parlamentari, ossia alla politica, trovare una soluzione». Insomma, gli addetti ai lavori hanno le mani legate: da qui in avanti il terreno di gioco è un altro.

 

 

 

 

«Degli oltre trecento medici deceduti a causa del covid solo una metà rientrerebbe nel fondo di cui stiamo parlando», chiosa Anelli, «perchè per i dipendenti c'è già la procedura dell'Inail (l'ente nazionale che si occupa degli infortuni sul lavoro, ndr). E' l'altra metà, semmai, che non può ottenere, al momento, nessun riconoscimento». Si riferisce ai medici di famiglia, quelli di base che durante le prime ondate correvano come disperati dall'ambulatorio alle case dei pazienti, che tenevano il cellulare acceso giorno e notte, sempre attaccato alla presa della corrente perchè di chiamate ne arrivavano di continuo. E ai liberi professionisti che hanno uno studio privato e non hanno mai smesso un giorno di lavorare. «Molte delle loro famiglie sono rimaste prive dell'unica fonte di sostentamento», chiosa Anelli. La Fnomceo tiene, sul suo sito, un elenco aggiornato di tutti i colleghi che non sono sopravvissuti all'emergenza sanitaria: il primo di loro che non ce l'ha fatta è stato il presidente dell'ordine dei medici di Varese. Si chiamava Roberto Stella, è morto l'11 marzo del 2020. Quando l'incubo stava solo iniziando.

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