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La malignità degli invidiosi: un vizio inconfessabile, come non cadere nella rete

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Daniela Mastromattei
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Nel Purgatorio di Dante gli invidiosi scontano la loro pena con un mantello di panno ruvido e pungente, seduti a terra, appoggiati l'un l'altro contro la parete del monte, e hanno gli occhi cuciti da un filo di ferro che impedisce loro di vedere, mentre in vita essi guardarono il prossimo con occhio malevolo (dal latino in-videre "guardare di sbieco", "guardare storto"). E se, come sosteneva Oscar Wilde, «ogni volta che si ottiene un certo successo ci si fa un nemico e per essere benvoluti da tutti bisogna essere mediocri», o come dichiarava Francis Scott Fitzgerald «niente è così insopportabile come la fortuna degli altri», ha ragione Leonardo Da Vinci: «Non appena nasce la virtù, nasce contro di lei l'invidia, e farà prima il corpo a perdere la sua ombra che la virtù la sua invidia». Lo conferma quel proverbio danese che dice: «Se l'invidia fosse una febbre, tutto il mondo sarebbe ammalato».

 

 

 

SI SENTONO INFERIORI

Chi la prova sistematicamente stenta a dichiararla; chi ci cade dentro ogni tanto finge di non accorgersene. È un moto dell'anima tanto velenoso quanto inconfessabile. «È l'emozione negativa più rifiutata perché ha in sé due elementi disonorevoli: l'ammissione di essere inferiore e il tentativo di danneggiare l'altro senza gareggiare a viso aperto ma in modo subdolo, meschino», come scrive Valentina D'Urso nel suo libro "Psicologia della gelosia e dell'invidia". Non c'è alcun intento di innalzarsi al livello dell'altro. Nella sua forma più distruttiva non c'è emulazione, bensì desiderio di annientare ciò che non si può avere, come fa la strega cattiva nei confronti di Biancaneve. «L'invidia è il più stupido dei vizi, perché non esiste un solo vantaggio che si guadagni da essa» (Honoré de Balzac); «è un'afflizione dello spirito e a differenza di alcuni peccati della carne, non provoca piacere a nessuno», scrive Muriel Spark, nel suo "Invidia". Ancor prima, Plutarco sosteneva che «l'odio si prova per chi ci ha offeso, l'invidia per chi è felice». E mentre Aristotele la considerava un'ambiziosa molestia diretta a toglierci i meriti, Bertrand Russel definiva l'invidia una strana forma di democrazia con l'obiettivo di farci diventare tutti uguali, tutti pronti a controllarci e a toglierci i privilegi l'un l'altro. Una sorta di declassamento universale. «È un sentimento infantile che risponde all'umiliante paragone: lui sì, io no. E da adulti al considerare l'erba del vicino sempre più verde», precisa la psicoterapeuta Emma Cosma raggiunta al telefono. «L'invidia è una emozione complessa, socialmente condannata e difficile da ammettere pure a sé stessi. Si prova quando si percepisce un misto di sconfitta e senso di inferiorità nel paragone con gli altri. In sostanza, chi invidia è sprovvisto di autostima e più che impegnarsi a raggiungere ciò che hanno gli altri, impiega tutte le sue energie per svalutarli e denigrarli. Atteggiamento tipico di chi è sempre pronto a giustificare la propria fragile identità e a entrare in competizione col prossimo in modo subdolo», aggiunge la Cosma. «L'invidia nasconde un'ostilità latente verso gli altri (conoscenti, amici o colleghi) e non importa se sono persone che ci vogliono bene (fratelli, sorelle, parenti)». L'invidioso è ingiusto e bugiardo. Non sopporta vantaggi economici, bellezza o eccellenza intellettuale nei "vicini". Cerca di screditare chi ha successo ottenuto con intelligenza e talento e ne attacca i meriti, le capacità, le competenze professionali. «Critica tutto con cattiveria, non è mai felice di niente, perennemente insoddisfatto e insicuro prova astio e risentimento, non ha mai parole di apprezzamento o stima nei confronti di nessuno, si sente vittima del sistema, si vergogna di non essere o di non avere quello che gli altri sono o hanno», spiega a Libero la dottoressa Miolì Chiung, direttrice dello studio di Psicologia Salem. «Da una parte vive una propria inadeguatezza, dall'altra una forte sofferenza di fronte alla gioia degli altri». Come difendersi. «Innanzitutto non si nasce invidiosi, lo si diventa. Ed è difficile una volta entrati in quel vortice uscirne. Dunque, non cercate di farveli amici, non hanno amici. Meglio tenerli alla larga alla prima avvisaglia. Non cercate di cambiarli, è tempo sprecato», avverte la Chiung.

 

 

 

TENERSI ALLA LARGA

«Allontanare le persone convinte che svalutando gli altri possano affermare meglio sé stesse è il modo migliore per non attirarsi la loro negatività; evitate di stringere rapporti confidenziali, non date spazio ai loro commenti maligni, non rivelate nulla della vostra vita o dei vostri problemi e se proprio non potete evitarli cercate di proteggervi con la riservatezza», rincara la psicoterapeuta Emma Cosma che conclude: «Vivono uno stato perenne di inadeguatezza, dovrebbero fare un gran lavoro su se stessi per trasformare l'invidia in ammirazione verso gli altri». Sosteneva il romanziere francese Jean Francois Marmontel «l'emulazione è la passione delle anime nobili, l'invidia il supplizio di quelle vili». Ma per lo psicanalista Umberto Galimberti «più che un vizio, l'invidia è un meccanismo di difesa, un tentativo disperato di salvaguardare la propria identità quando si sente minacciata dal confronto con gli altri. Che l'invidioso da un lato non sa reggere e dall'altro non può evitare, perché sul confronto si regge l'intera impalcatura sociale». 

 

 

 

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